Tra poche ore il Lazio passerà alla destra di un impresentabile candidato governatore, Rocca, ammutolito dai suoi poco edificanti (per la destra becera) trascorsi di gioventù, e il leghista Fontana si confermerà presidente della Lombardia. E questo perché le opposizioni hanno fatto di tutto per non presentarsi unite, consegnando senza combattere il successo alla destra. A Milano, Carlo Calenda ha scelto Letizia Moratti come candidata alla presidenza della Lombardia. E Pd, 5 Stelle, verdi e sinistra del “campo largo” non si sono neppure interrogati sulla necessità di individuare un candidato moderato (non necessariamente Moratti) per strappare la Lombardia alla destra. Scegliendo così di fare una battaglia elettorale di testimonianza. Non c’è che dire, da lunedì brinderanno i boss della sanità privata, che avranno adesso dalla loro anche la capitale e il Lazio. E naturalmente saranno condannati i deboli, quelli che vivono le fragilità sociali ed economiche, che saranno ulteriormente penalizzati da politiche neoliberiste e privatistiche.
È vero, l’onda alta del consenso per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non dà significativi segnali di crisi; ma nello stesso tempo i primi cento e passa giorni di governo non sono stati esaltanti per la destra. Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, che svolgono sempre più un ruolo da comprimari, sono insofferenti, per certi versi hanno posizioni contrapposte. Sono in difficoltà, ma se il loro apporto venisse meno la destra comincerebbe a sgretolarsi.
Strano Paese, il nostro. Che si commuove ed emoziona per i messaggi buonisti di Sanremo (Costituzione, giustizia, diritti civili, Iran, razzismo), ma che poi sostiene le scelte scellerate del governo Meloni. Dev’esserci un cortocircuito tra la realtà e la sua rappresentazione. Non c’è una spinta “propulsiva” per la destra. Che vince per l’oceano di astensioni che sommerge la stessa tenuta democratica del Paese. E dunque, può questa destra portare a termine una riforma costituzionale in direzione del presidenzialismo, quando più della metà degli italiani non va a votare?
C’è una talpa che sta scavando in profondità minando le fondamenta della convivenza civile e democratica. Oggi il Paese avrebbe bisogno di una sinistra sociale e politica in grado di garantire il rigoroso rispetto della Costituzione. E invece abbiamo difficoltà persino a riconoscere le opposizioni come parte della storia della sinistra.
La sinistra è implosa, i 5 Stelle, che pure hanno scelto di dirsi di sinistra, sono diventati un acceleratore del processo di disgregazione del Pd e delle schegge della sinistra plurale (verdi, ambientalisti, sinistra comunista). La talpa che rode il mondo della speranza e dei sogni del secolo scorso è la solitudine, anzi l’isolamento. Che oggi ha attecchito in quello che un tempo rappresentava un corpo sociale e politico, e che è disarmato dalla crisi delle ideologie e delle forme di organizzazione della politica nate alla fine dell’Ottocento, nel millennio scorso.
Le elezioni di domenica e lunedì nel Lazio e in Lombardia confermeranno lo scollamento ulteriore tra opposizione e società. In meno di un mese, Giuseppe Conte ha nei fatti accantonato il progetto di allargare il suo “campo” a una sinistra ambientalista e sociale, che pure fa parte della coalizione che appoggia la candidata pentastellata, Donatella Bianchi. I 5 Stelle hanno fatto una campagna elettorale settaria. Alessio D’Amato, candidato del Pd, dei centristi di Calenda e Renzi e di “Sinistra possibile” spera in un miracolo. Ma è molto difficile che ciò avvenga. Le primarie del suo partito appassionano poco persino gli iscritti al Pd. Tempi bui per la sinistra che fu.