Vista dalla finestra di uno studio al quinto piano – in cui campeggiano le celebri guglie verdi del cosiddetto “Cremlino”, alias l’edificio “Carta” a Città studi –, Milano appare una città sonnacchiosa e provinciale. Poco traffico, ritmi lenti. Certo è Lambrate, non è il centro. Si ricordano le scritte comparse prima di un’altra scadenza elettorale: make Lambrate great again. Evocazione di fasti passati, quando le guglie del “Cremlino” erano uno dei simboli di un’orgogliosa cittadella universitaria all’avanguardia dal punto di vista scientifico, politico e culturale. Tra gli studenti, nessun fermento: c’è scarso interesse per le elezioni regionali ormai prossime, che scaldano poco i cuori. Nessun volantinaggio, nessun manifesto, nessuna discussione sul tema. Al bar qualcuno difende la causa di Pierfrancesco Majorino, ma con poca passione, argomentando, più che altro, sull’interesse da lui dimostrato per l’università e sulla sottolineatura, presente nel suo programma, dell’importanza del diritto allo studio nel quadro del rilancio della città.
Il programma del candidato del centrosinistra e dei 5 Stelle (in Lombardia uniti) appare ben strutturato, e abbraccia alcuni aspetti rilevanti e per molti versi decisivi per il futuro della metropoli lombarda, dal ripensamento del sistema sanitario, le cui falle sono state evidenti nel periodo pandemico, e che negli ultimi tempi ha fatto segnare ritardi record per le visite specialistiche e le prenotazioni, a quello della scuola, al miglioramento dei trasporti, fino a toccare la questione per eccellenza della Milano contemporanea: la crisi abitativa, l’impossibilità di trovare casa a prezzi ragionevoli.
Eppure i sondaggi non gli danno molte chance. Favorito rimane il presidente uscente, Attilio Fontana, forte del sostegno di Fratelli d’Italia (dati al 25% contro il 4% nella tornata elettorale del 2018) e di una Lega stimata, peraltro, in calo. Ha recuperato non poche posizioni nell’elettorato, e non solo ha difeso il suo discutibile e discusso operato durante la pandemia, vera e propria Caporetto sanitaria, ma è riuscito a riportare in auge l’avvocato Giulio Gallera. Ricordiamo Gallera, ex assessore alla Sanità, bersagliato dai lazzi e crocefisso sui social per le sue ripetute e gravi gaffe ai tempi più duri del Covid, fino a doversi dimettere dall’incarico per lasciarlo a Letizia Moratti. La stessa Moratti, ex vicepresidente e assessore al welfare, che ora corre con una lista civica imbottita di figure di spicco del terzo settore e sostenuta dai centristi renziano-calendiani, senza grandi possibilità. Quarta incomoda, la candidata di Unione popolare e di Rifondazione comunista, la sociologa Maria Ghidorzi, con un coraggioso programma a tinte decisamente utopistiche, impostato sul pubblico e sul gratuito, controcorrente nella regione in cui tutto si privatizza, a partire dalla salute.
I nodi al pettine sono tanti. Milano è in affanno, il celebrato modello si è contratto in un’economia urbana legata a fattori in buona parte volatili. Pur rimanendo di gran lunga la città più ricca d’Italia, Milano appare fragile, e la sua ricchezza è sempre più dovuta a settori come quello immobiliare, estremamente discontinuo nel tempo, legato com’è ai capricci di capitali stranieri e di fondi sovrani. Per ora, il vortice dei prezzi e delle compravendite tiene, ma si mormora della possibile esplosione a breve di una “bolla” o di più “bolle”. Tanto più precaria appare la ricchezza raggiunta se si considerano le sue ricadute e la sua distribuzione: mentre in città si acuiscono e si esasperano le disuguaglianze sociali, e cresce una povertà nuova, la “monocoltura” dell’immobiliare espelle giovani e ceti medi dal centro verso le periferie, creando una città socialmente e spazialmente polarizzata.
Dati recenti ci dicono che i differenziali di reddito, tra i diversi quartieri, sono cresciuti in maniera esponenziale, con rapporti che spesso superano il quattro a uno. Se la sanità è uno dei punti dolenti – e tutti i candidati nei loro programmi insistono sulla necessità di liste di attesa più brevi, come pure sulla eccessiva frammentazione del sistema attuale –, la casa è certo l’altro punto cruciale, per le sue numerose valenze e implicazioni. Majorino insiste sulla disponibilità di un patrimonio pubblico inutilizzato, da mettere a disposizione dei giovani, e sulla necessità di un piano di sostegno all’affitto per frenare i processi di espulsione dal centro. Ma è chiaro che la questione abitativa andrebbe posta in tutta la sua centralità, dato che non è una tematica circoscritta a un unico settore, ma investe il mondo del lavoro, l’attrattività della città sul piano internazionale, la sua immagine complessiva, interrogando la capacità delle amministrazioni di attivare politiche efficaci di contrasto alla speculazione.
Rimane sul piatto una serie di altre questioni irrisolte: dal problema della inadeguatezza dei trasporti, certo non all’altezza di una “città globale”, fino a quello ambientale: inquinamento, siccità, cementificazione. “Vogliamo una Lombardia che dica stop alla logica dei grandi eventi, al consumo di suolo e alla cementificazione selvaggia del nostro territorio” – grida la sociologa Ghidorzi; e anche Moratti promette attenzione al consumo di suolo, sia pure “agendo sull’edificabilità residua dei lotti già edificati”, e anche con bonifiche e monitoraggi sistematici del territorio lombardo; mentre il presidente uscente, Fontana, a smentire le posizioni di negazionismo climatico che gli erano state attribuite in passato, si esprime a favore di una “soluzione tecnologica”, con una visione della sostenibilità e dell’ambiente basata sull’innovazione. A fronte di temi così importanti e urgenti, colpisce però la vaghezza delle risposte fornite dai candidati: basta leggere l’intervista collettiva all’ “Avvenire” di ieri, 8 febbraio, in cui spicca una certa evasività, dovuta forse alla volontà di non sbottonarsi troppo negli ultimi giorni di campagna, o forse alla mancanza di idee e progetti all’altezza dei problemi da affrontare.
La città ne è in certo modo consapevole. E questa campagna elettorale quasi in sordina, dai toni decisamente soft, che in fondo ha molto poco di metropolitano, e assume sui social tratti quasi da sagra paesana, è forse uno specchio del disorientamento e della rassegnazione che sembrano regnarvi. Così, in un’atmosfera quasi sospesa, sorprendentemente poco conflittuale, vista la posta in gioco, Milano si avvia al voto. Dalle proposte e dai profili dei candidati, e dalle liste a loro collegate, si ricava una visione d’insieme non entusiasmante, destinata – si immagina – a rassicurare e a persuadere un pubblico in buona parte anziano, sempre più restio alle novità.