Con effetto immediato, il presidente brasiliano Lula da Silva ha destituito qualche giorno fa il comandante generale dell’esercito, generale Júlio Cesar de Arruda, nominato d’intesa con il predecessore Jair Bolsonaro per gestire il periodo di transizione dall’uno all’altro. Lo ha sostituito con il pari grado Tomás Miguel Ribeiro Paiva, che lo segue in ordine di anzianità e tra gli alti gradi militari, ed è stato tra i primi a fare proprio il fermo richiamo del capo dello Stato ai valori costituzionali e alla dovuta fedeltà alle istituzioni repubblicane. Questa decisione di Lula chiude quindi l’aspettativa seguita alla sua prima scelta di lasciare a tutti i responsabili la possibilità di correggere le rispettive inerzie, riscontrate nella sciagurata giornata dell’8 gennaio scorso.
La decisione segna anche l’avvio di una riorganizzazione ai vertici dell’esercito e con ogni probabilità dei rapporti stessi tra le distinte forze armate. Il 20 gennaio scorso, infatti, Lula ha riunito a lungo il ministro della Difesa, José Múcio Monteiro, e i tre stati maggiori per discutere congiuntamente le necessità di ammodernamento di ciascun settore, e i conseguenti capitoli di spesa. Un’evidente attenzione agli interessi corporativi, oltre che professionali, dei militari. Nella medesima circostanza ha preteso, però, un’inchiesta rapida e circostanziata sulle mancanze che hanno reso possibile – se non addirittura istigato – l’assalto del teppismo bolsonarista alle sedi dei tre massimi poteri dello Stato. Stante lo svolgimento dei fatti, la sua esigenza era rivolta essenzialmente al generale Arruda, che ha tentato ancora di prendere tempo affermando la necessità di un’indagine approfondita.
Lula ha ritenuto che il suo atteggiamento dilatorio fosse pretestuoso e inaccettabile. Fin dal primo momento, egli ha detto, e in più circostanze ripetuto, che non solo i servizi d’informazione militari non potevano ignorare quanto stavano preparando i bolsonaristi, ma che qualcuno (e chi altri se non uomini del battaglione speciale incaricato di proteggere gli edifici delle massime istituzioni, dal Congresso alla presidenza della Repubblica, al Supremo tribunale federale?) aveva aperto loro le porte di accesso dall’interno, in quanto non risultavano forzate dall’esterno. La dilazione di Júlio Cesar de Arruda appariva, dunque, a tal punto ingiustificata da costituire un sia pur non esplicito atto d’insubordinazione. Segno di un rapporto ormai irrimediabile, a cui reagire con la massima energia. È la spiegazione che il presidente ha fornito ai suoi, la maggior parte dei quali non gli chiedeva altro.
Alla riunione – certamente la più importante delle innumerevoli che si sono susseguite dopo la sgangherata, ma non perciò meno pericolosa insurrezione dell’8 gennaio (vedi qui) – Lula ha voluto che partecipassero, dall’inizio alla fine, anche i maggiori dirigenti della Confindustria brasiliana, quelli della Federazione di San Paolo. In quanto direttamente interessati al tema della produzione di armamenti, agli aspetti tecnici e a quelli economico-commerciali; ma con il trasparente proposito di garantirsi testimoni, per quanto possibile autorevoli e al di sopra delle parti. Una circostanza che misura e fa intendere, concretamente, il profondo deterioramento dell’indispensabile rapporto di fiducia tra la massima autorità della Repubblica e le sue forze armate. Dunque, il difficile equilibrio politico interno in cui si trova ad agire Lula, ma anche la chiarezza della sua scelta di governare senza condizionamenti occulti.
Tratto dal blog di Livio Zanotti