Che cosa sono le emozioni? Strumenti biologici molto potenti, innescati e guidati dagli eventi, che indicano immediatamente, e senza pensare, ciò che ci piace o non ci piace, ciò che è brutto o bello, buono o cattivo. Rappresentano molto spesso una patologia del soggetto contemporaneo che – vivendo dentro una bolla formata dai social e dalla tv, che sono un invito continuo a farci avvolgere dalle emozioni – non intercetta più la durezza e la resistenza della realtà fino a perdere qualsiasi contatto con essa. Conseguenze ne sono la distorsione e la incomprensione della realtà da parte di un soggetto che pretende, attraverso un rapporto lirico e occasionale con il mondo, che però non riesce mai a raggiungere, di trovare punti di riferimento per trasformare il mondo stesso in poesia.
Il tema è di grande attualità: sarebbe sufficiente, per metterlo al centro della nostra attenzione, scorrere per esempio le pagine di Facebook, considerare il dibattito sulla pandemia o valutare le posizioni assunte sulla guerra in Ucraina, oppure osservare lo spettacolo dei funerali della regina Elisabetta, dove centinaia di migliaia di persone, molte piangendo e disperandosi, si mettono in fila per ore per vedere una bara chiusa. Emozioni, solo emozioni, niente altro che emozioni. Tutti i mezzi di comunicazione sono in fibrillazione incessante per rendere gli eventi il più drammatici possibile, perché senza dramma non ci sarebbe né interesse né racconto.
E il disincanto dov’è andato a finire? Il disincanto, a differenza delle emozioni, non è una disposizione naturale. È cultura, esperienza del mondo, e insieme conoscenza dei suoi movimenti e delle sue trasformazioni; è possibilità di disporre di strumenti capaci di interpretarlo, è consapevole rinuncia alle illusioni che la tradizione e la storia accendono per difendere la loro durata e la loro continuità, è appropriazione di un proprio tempo interiore rispetto a quello esterno, è capacità di dosare una piccola quantità di senso che si deve dare alla vita ma, nello stesso tempo, di indagare, senza morali e religioni, il non-senso fino alle sue estreme conseguenze, fino “al termine della notte”. È tutto ciò a fondare il disincanto, e a questo punto, ma solo a questo punto, può arrivare la possibilità di agire di conseguenza: nel nostro caso, di parlare e di scrivere di conseguenza.
Questa lunga premessa per cercare di inquadrare e di capire i motivi di alcuni interventi scriteriati, forse sarebbe meglio dire idioti, che sono apparsi ieri (10 gennaio), a proposito degli scontri avvenuti, domenica 8 gennaio, tra ultras napoletani e romanisti nel tratto aretino dell’Autosole, sui giornali “la Repubblica online” e “Corriere della sera”.
Sul primo è Linus, nel programma “Deejay chiama Italia”, a commentare l’episodio: “Mentre in Iran i vostri coetanei rischiano la vita tutti i giorni per permettere alle loro coetanee di tenere i capelli sciolti, la sola cosa che sapete fare voi è aspettarvi reciprocamente in autostrada per picchiarvi. Ma vi rendete conto di quanto siete ridicoli e preistorici?”. Per chiunque abbia un po’ di senno sarebbe difficile negare che le lotte in Iran e gli scontri degli ultras stanno insieme come i cavoli a merenda. Ma di più. Se si seguono le emozioni buoniste di Linus, qualsiasi conflitto, qui in Occidente, sarebbe poca cosa, e dunque da cancellare di fronte a una lotta che ha come posta in gioco la vita e la libertà. E allora che si fa? Si manda in pensione il conflitto? Oppure esiste un conflitto buono e uno cattivo? E chi lo stabilisce? Forse Linus?
Sul secondo, è Aldo Cazzullo che, rispondendo a una lettera, invita il governo a porre in atto la stessa linea grintosa usata verso i rave, e a gettare in carcere i teppisti che hanno osato bloccare l’Autosole. Ovviamente condisce il suo scritto, come si usa fare in questi ultimi tempi, con i bambini e gli anziani, in questo caso costretti a chiudersi nelle macchine. E bambini e anziani servono ad aumentare commozione e compassione.
Nessuno dei due, spinti appunto dalle emozioni che non pensano ma agiscono in fretta, spreca due parole per cercare di comprendere. Ma le emozioni non devono capire: indicano solo chi è buono e chi è cattivo. E i cattivi sono gli ultras; loro invece, Linus e Cazzullo, si ritengono i buoni che difendono altri buoni fermi sull’autostrada. Ma a “chi vive in mezzo ai buoni, la compassione gli insegna a mentire. La compassione rende l’aria intanfita in tutte le anime libere. La scempiaggine dei buoni, infatti, è senza fondo”: così Nietzsche. Perché la verità – prosegue Nietzsche – è che nessuno può sapere cosa sia buono e cosa sia cattivo.
Un dubbio ci assale, motivato dal perbenismo forcaiolo che in questi anni ammorba e re-incanta continuamente il nostro Paese: Linus e Cazzullo hanno mai varcato i cancelli di uno stadio di calcio? Il dubbio è legittimo perché, se l’avessero fatto, saprebbero che in Italia la violenza degli ultras non esplode allo stadio ma sul territorio e, a differenza che in altri Paesi, dentro questa violenza non c’è solo passione di parte, non c’è solo il confronto con l’avversario di turno, c’è anche tanta rabbia sociale e antistituzionale. All’origine della cultura ultras, dunque, c’è la strada con i suoi linguaggi e con i suoi riti, di cui l’appartenenza territoriale costituisce il fondamento. (Con questo non si vuole giustificare la violenza, si vorrebbe solo tentare di capirla). Condannare la violenza è giusto, ma condannarla con argomenti che fanno rabbrividire la ragione vuol dire esercitare la stessa violenza che è esplosa in autostrada. In questo caso non lascia feriti o morti, ma celebra comunque dei funerali: quelli appunto della ragione e della conoscenza.