Nel film Il senso della vita dei Monty Python, era un banale gruppo di impiegati, trasformatisi in pirati, che, irrompendo negli uffici delle corporations, innescava la fine del British Empire. Dalla caricatura alla realtà: negli ultimi giorni l’assalto al sempre più vacillante Regno Unito è invece concentrico, e sembra giungere da più parti: un’ondata di scioperi dai più diversi settori si sta abbattendo sul Paese nel periodo natalizio. È stata già etichettata come la great disruption, la grande interruzione di servizio di dicembre, e sarà la cosa più vicina a uno sciopero generale che sia da tempo avvenuta in Gran Bretagna. Infermieri, paramedici, autisti di ambulanze, impiegati postali, ferrovieri, autisti di autobus londinesi, vigili del fuoco, insegnanti, e persino gli esaminatori della patente, minacciano di bloccare il Paese da qui a Natale. Quanto avviene, come avevamo segnalato in precedenti articoli (vedi qui e qui), è diretta conseguenza di un malcontento sociale ed economico in rapida crescita, di fronte alla difficoltà a reggere l’azione congiunta di un’inflazione arrivata quasi al 12% e dell’aumento delle tariffe di gas ed energia. Molte famiglie hanno addirittura problemi a riscaldare e a illuminare le case, visti i costi proibitivi, per non parlare dei prezzi dei generi alimentari andati alle stelle. I tabloid fanno dello spirito a buon mercato sul tornare di moda delle candele e della minestra di cavolo.
Il primo ministro Rishi Sunak è per il momento irremovibile di fronte all’ondata di scioperi – “all’italiana” – che si prospettano, e ha ribadito, mercoledì 14 dicembre in parlamento, che le richieste di aumento dei salari sono “irrealistiche”, minacciando inoltre un inasprimento della legislazione anti-sciopero. Il segretario ai trasporti, Mark Harper, è stato ancora più schietto: “Non c’è un pozzo di San Patrizio a disposizione per aumentare i salari”.
D’altro canto, nelle vertenze salariali che si sono aperte, vista anche la brutta e rapida fine dell’arrischiata politica economica proposta da Liz Truss, il governo ha scelto di muoversi con estrema, forse eccessiva cautela, e con ottica sparagnina. Il cancelliere dello Scacchiere, Jeremy Hunt, ha appena presentato un bilancio rivolto principalmente a calmare la maretta sui mercati finanziari, ma ha cercato di introdurre anche aiuti per mitigare gli alti prezzi dell’energia. Le prospettive economiche però sono pessime: l’economia britannica sta scivolando verso la recessione, le entrate fiscali sono destinate a diminuire e, senza l’aumento delle tasse – che il governo conservatore vuole evitare a tutti i costi –, una stagione di incrementi salariali generalizzati è difficilmente sostenibile. L’atmosfera è pesante: qualche giorno fa la Bank of England, che da tempo lancia segnali di allarme, è intervenuta pesantemente per evitare il tracollo dei fondi pensione.
In previsione del caos derivante da scioperi che appaiono ormai inevitabili, il governo britannico ha predisposto piani di emergenza con centinaia di soldati adibiti a svolgere ruoli civili: dal guidare le ambulanze fino a controllare l’accesso alle frontiere (anche la Border Force pare che entrerà in sciopero). L’esercito, che può essere mobilitato in caso di “mancanza di attività civili”, è già stato utilizzato durante la pandemia e durante la crisi dei rifornimenti di benzina di due anni fa. Erano comunque almeno quarant’anni – dal braccio di ferro nel pubblico impiego di fine anni Settanta, fino allo sciopero dei minatori del 1984-85 contro Margaret Thatcher – che nel Regno Unito non si assisteva a un simile sommovimento sociale: più di un milione di lavoratori si prepara a scioperare tra il 12 e il 31 dicembre, su chiamata delle varie centrali sindacali, con la probabile paralisi di parte del Paese durante le feste di fine anno. I ferrovieri, già mobilitati dall’estate, saranno in sciopero per almeno otto giorni proprio nei giorni natalizi.
Le loro rivendicazioni sono peraltro chiarissime. A fronte di un 4% di incremento salariale proposto dai datori di lavoro, i ferrovieri chiedono un 9% in due anni, motivandolo con la necessità di coprire almeno in parte l’erosione salariale prodotta dall’inflazione. “Lo sciopero è purtroppo necessario e inevitabile”, ha dichiarato all’emittente Sky il leader sindacale Mick Lynch: “L’attuale politica salariale è una mancanza di rispetto nei confronti dei dipendenti britannici. Abbiamo un’inflazione di oltre l’11%, e la gente non sa più come pagare le bollette”. Gli fanno eco i sindacati degli infermieri e paramedici, che parlano di dipendenti i quali, in mancanza di consistenti aumenti salariali, saranno spinti sulla soglia della povertà, se già non ci si trovano. “Non chiediamo altro che l’adeguamento dei salari all’aumento del costo della vita. Il compito dei sindacati è di correggere le ingiustizie e la risorsa estrema a disposizione è lo sciopero” – ha sottolineato Lynch.
Stando ai sondaggi, pare che l’opinione pubblica britannica, nella sua maggioranza, comprenda benissimo le ragioni della interruzione del lavoro pressoché generalizzata che si profila. Tuttavia i sindacati sembrano camminare su un ghiaccio sottile. Se esagerano nel protrarre il blocco dei servizi, l’orientamento dell’opinione pubblica a fronte degli enormi disagi che ne derivano potrebbe cambiare rapidamente. Vero è anche che gli inglesi, al tempo dello sciopero dei minatori, seppero sviluppare una grande solidarietà popolare: ma si trattava di una epoca e di una situazione diverse.
Il primo ministro, nonostante sia da poco in carica, sembra già avere esaurito la sua pazienza. La scorsa settimana, in parlamento, ha fatto sentire tutta la sua rabbia ai sindacati, dichiarando: “Se i leader sindacali continuano nella loro ostinazione, è mio compito come primo ministro proteggere la vita quotidiana dei cittadini britannici”. E ha aggiunto che il suo governo sta elaborando un disegno di legge, che vieta gli scioperi nelle aziende di importanza sistemica, come le ferrovie o il servizio sanitario.
La minaccia di Sunak, però, potrebbe essere un bluff, dato che far passare una legge del genere in parlamento quest’anno, nel bel mezzo di una caduta verticale del gradimento elettorale dei conservatori, è piuttosto illusorio. Il primo ministro lo sa, ma deve dare l’impressione di fare qualcosa. Perché, se il periodo natalizio precipita nel caos, l’opinione pubblica finirà per attribuire la colpa a qualcuno. Come si concluderà il gioco di potere tra i sindacati e il governo, e chi finirà con il cerino in mano, è cosa ancora abbastanza incerta al momento, ma appare sempre più chiaro che i governi conservatori che stanno succedendosi, logorandosi uno dopo l’altro, siano ormai pericolosamente vicini al capolinea. I laburisti, sornioni, stanno alla finestra e aspettano, pensando probabilmente che il loro turno non tarderà ad arrivare.
La situazione, cambiate le cose da cambiare, non può non ricordare la lunga stagione di scioperi operai del 1970-1974, che si chiuse con la sconfitta dei conservatori e all’insegna della “pace industriale” promessa dal Labour tornato al potere: pace sociale destinata, peraltro, ad avere breve durata. Dopo qualche anno, peggiorarono le condizioni di vita, e si giunse così al gigantesco sciopero del 1979 nei servizi pubblici, che ricordavamo prima, nel corso di quello che fu chiamato “l’inverno dello scontento”. Scontento che torna ora prepotentemente ad affacciarsi in un altro inverno, delicatissimo e forse cruciale per la storia del Paese.