Volendola prendere per il verso sbagliato, cioè quello usato dallo stesso ministro degli Esteri russo, Lavrov, la sua dura polemica con papa Francesco, potrebbe essere spiegata così: abituato a sentir parlare di cristianesimo il patriarca di Mosca, Kirill, è chiaro che Lavrov trovi “parole non cristiane” quelle pronunciate da papa Francesco. E c’è del vero in questo: perché quello di Kirill è un cristianesimo costantiniano, imperiale, in cui tra società e Chiesa non può esserci neanche un filo di paglia. La Chiesa è per lui la società perfetta, dunque la società non ha altro da fare che omologarsi alle sue leggi. Come questi nove anni di pontificato hanno mostrato, il cristianesimo di Francesco è evangelico, non costantiniano. La sua Chiesa è un ospedale da campo, che cura tutti, non soltanto chi ha i bollini in regola.
Ma la polemica di Lavrov ha un altro senso. Restando solo a una lettura formale, il “Foglio” e altri giornali non hanno colto la sostanza del problema, fermandosi alla possibile “gaffe del papa”, che il “Foglio” ha citato così: “Quando parlo dell’Ucraina, parlo di un popolo martirizzato. Se hai un popolo martirizzato, hai qualcuno che lo martirizza” – ha detto il papa nell’intervista alla rivista dei gesuiti statunitensi, “America”. “Quando parlo dell’Ucraina, parlo della crudeltà perché ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che entrano”. “In genere – ha aggiunto – i più crudeli sono forse quelli che sono della Russia ma non sono della tradizione russa, come i ceceni, i buriati e così via”. Ha fatto male, ha fatto una gaffe Francesco dicendo così? A onor del vero, sembrerebbe di no, e per diversi motivi.
Il primo ovviamente è che questa espressione viene dal desiderio di non criminalizzare i russi, ma le bande di Kadyrov, il proconsole di Putin in una Cecenia massacrata dall’armata russa, e poi trasformata in una fabbrica di milizie efferate, come ha dimostrato la storia siriana prima e quella ucraina ora. Colpa di Putin e Kadyrov, il proconsole alleato della famigerata organizzazione di mercenari Wagner, o colpa dei ceceni? Se Francesco avesse voluto procedere avrebbe potuto aggiungere che tanti altri criminali disperati arrivano al soldo di Mosca in Ucraina, dalla Siria e ora anche dall’Afghanistan, per esempio. E infatti lo stesso “Foglio”, con grande onestà, definisce le bande di Kadyrov “la carne da cannone” di Putin. Bisognava pur dirlo. Ma perché?
Perché sin qui siamo alla forma, discutibile certo, non alla sostanza. E qual è la sostanza? Lo ha spiegato Lavrov, aggiungendo che nessuno deve illudersi di poter mettere in discussione l’unità federale della Russia, Repubblica federale multinazionale. Ecco il punto. La frase di Francesco ha fatto emergere il vero terrore di Mosca: quello dello sgretolamento. Ha un futuro la Federazione russa? Chi può pensare possibile uno Stato federale multinazionale che scatena una guerra mondiale per cancellare il diritto all’identità di un popolo, quello ucraino, che vorrebbe tornasse a essa federato? Solo Kadyrov, che si è affrettato a spiegare l’intemerata papale contro i suoi come dovuta alla sua posizione “da ultimatum contro la lobby mondiale Lgbt”.
Bergoglio ha fatto emergere il vero timore di Mosca: lo sgretolamento della federazione, quello di cui parla in questi giorni l’“Economist”. E in effetti è questo il problema sul quale Mosca va anche capita. Per il capo della diplomazia russa, infatti, la chiave per la pace è accettare l’idea, come ha fatto chiaramente intendere, che serve una nuova Helsinki. Per Lavrov la cooperazione con l’Occidente sulla sicurezza europea non potrà essere ripresa in un futuro prevedibile, ma solo “se e quando l’Occidente capirà che è meglio coesistere sulla base di fondamenta concordate”. Lavrov ha dunque detto che il papa è il vero interlocutore, perché è il Vaticano quello che indica da tempo questa strada, una nuova Helsinki, l’incontro che negli anni Settanta diede vita alla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa. A chi può interessare uno sgretolamento della Russia a beneficio dell’espansionismo cinese? A chi può interessare l’emergere di pulsioni moscovite e panslaviste ancora più estreme di quelle odierne?
Mosca sa bene che il grande successo della sua “operazione militare speciale” sta nell’aver portato tanti ucraini russofoni dalla parte di Kiev, perché essere russofoni ai tempi dell’Unione sovietica non indicava un’origine etnica, ma l’adesione o partecipazione a un ordine statale e partitico. Dunque il problema di chi vuole la pace oggi non è tradire il popolo ucraino e il suo diritto all’autodeterminazione, ma impedire lo sgretolamento di una Russia che non sa più essere federale. Lo conferma la fuga di tanti russi in Georgia, dove sono potuti entrare senza passaporto. Ma la proposta di una nuova Helsinki, perorata chiaramente dal Vaticano, va collegata anche all’Europa e alla sua sopravvivenza come realtà, e non come grande idea impossibile nel contesto attuale. Non può essere la fortezza assediata la salvezza del “sogno europeo”: quanti nazionalismi – sempre miopi, come spiega il disastro della Brexit – troverebbero più facile chiudersi in sé. Nel contesto di questa guerra mondiale combattuta a pezzi, il sogno europeo potrebbe diventare realtà se sapesse parlare di sicurezza e cooperazione anche al Mediterraneo, ampiamente inteso: il Grande Mediterraneo, che arriva all’Iraq e al Sahel. Non farlo vorrebbe dire esporsi al rischio che i vari teatri di questa guerra – dall’Ucraina alla Libia, all’Iran, al Sahel – si saldino. Parlando delle gravissime ripercussioni sui Paesi nordafricani del conflitto ucraino, nel messaggio inviato al “Mediterranean Dialogues”, in corso a Roma in queste ore, Francesco è parso avvisarci proprio di questo.