Siamo abituati un po’ a tutto, nel dibattito politico italiano, ma colpisce che prima ancora che fossero estratti tutti i corpi dal fango della tragica frana di Ischia un gran numero di interventi si siano concentrati sull’individuazione di un responsabile, nella persona del leader dei 5 Stelle ed ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Non sorprende, certo, che a guidare la schiera degli accusatori sia il capo di Italia viva, Matteo Renzi, l’uomo che più di ogni altro ha determinato il destino di Conte, dal niet al patto di governo M5S-Pd, lanciato in diretta nel 2018 da Lucia Annunziata su Rai3, premessa della nascita del Conte 1, fino alle disinvolte manovre prima per dare vita al Conte 2 (dopo la crisi salviniana del “Papeete”), e poi per farlo cadere e insediare il governo Draghi. Con una certa sollecitudine, anche qualche autorevole commentatore si è accodato, forse con un pizzico di slancio militante, che ne azzoppa le argomentazioni e la credibilità.
Il famigerato articolo 25
In premessa, è il caso di dire che – se non fosse tragico parlarne in una occasione così dolorosa – sarebbe sommamente ridicolo far risalire il fenomeno dell’abusivismo edilizio alla responsabilità di Conte, legandola peraltro a un evento non inedito, purtroppo, per Ischia. Isola sulla quale qualcuno ha scovato immagini di una frana del 1910 nella zona di Casamicciola. Isola sulla quale stanno emergendo, fin dai primi giorni dopo il disastro, particolari raccapriccianti a proposito delle responsabilità pubbliche: lavori decisi nel 2010 e mai realizzati, manutenzioni forestali ormai inesistenti, allarmi reiterati di un ex sindaco (curiosamente, omonimo di Conte) ignorati fino a pochi giorni fa.
Tuttavia, la lente d’ingrandimento va puntata sull’articolo 25 del cosiddetto decreto Genova o decreto Emergenze, convertito in legge il 16 novembre del 2018. Provvedimento nato dal crollo del ponte Morandi, ma che venne “arricchito” – secondo l’uso italiano – da norme eterogenee, su altri temi, fra le quali quelle che riguardavano i terremotati di Ischia del 2017. Trattati come cittadini di serie B, rispetto ad altre vittime di calamità simili in altre regioni, almeno a giudizio di Luigi Di Maio, all’epoca capo politico del Movimento 5 Stelle, indicato dai dissidenti interni (più di uno si sottrasse al voto sul provvedimento proprio in polemica con il “condono” su Ischia, lo ha ricordato l’ex 5 Stelle, Gregorio De Falco, in questi giorni) come quello che aveva imposto l’inserimento della discussa norma. La “pistola fumante” della polemica politica, sollevata contro l’ex presidente del Consiglio, è rappresentata dal titolo del citato art. 25: “Definizione delle procedure di condono”. Secondo i “nemici” di Conte, tanto basta per dire che il suo governo varò un nuovo condono.
Il leader del M5S si è difeso dando degli “sciacalli” ai suoi avversari politici e giornalistici, e ricordando che finalità della norma era imporre una risposta celere (“entro sei mesi”) alle domande di condono edilizio già da tempo pendenti sull’isola; ma solo – attenzione – per quanto riguarda le aree colpite dal sisma del 21 agosto 2017 (e quindi interessate da richieste di contributi per la ricostruzione, insomma serviva a decidere a chi dare i soldi e a chi no). Tanto che – a suo dire – su 1400 abitazioni danneggiate nel sisma sono state approvate nel frattempo, a conferma del fatto che “se un immobile era abusivo prima lo era anche dopo” il suo decreto, solo sei sanatorie; sono invece sessanta secondo un resoconto pubblicato dal “Fatto quotidiano”, non sospettabile di ostilità anti-contiana. Altro argomento a difesa: nel decreto fu introdotta un’apposita postilla, che rinviava la definizione delle procedure di condono al “parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico”.
Un po’ più seria della “pistola fumante” del titolo dell’articolo di legge è la critica alla scelta di richiamarsi al primo condono edilizio in grande stile: quello varato dal governo di Bettino Craxi, con la firma del ministro socialdemocratico Franco Nicolazzi. L’intenzione, secondo chi si è opposto al provvedimento, sarebbe stata quella di allargare le maglie della sanatoria, perché quelle sarebbero regole più permissive di quelle successive. Nella legge c’è infatti questo riferimento: “(…) trovano esclusiva applicazione le disposizioni di cui ai Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47” – si legge nel decreto del governo gialloverde. Su questo punto l’avvocato Bruno Molinaro, citato dal “Corriere della sera” come uno degli estensori della norma, fin dal 2018 aveva rivendicato il fatto che il rinvio, contenuto nel decreto, alle procedure della legge del 1985 fosse un atto dovuto. “Va subito evidenziato, in proposito, che tale norma presenta un contenuto del tutto analogo a quello dell’articolo 39, comma 1, della legge n. 724 del 1994, secondo cui, appunto, ‘le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28-2-1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi (…)’. Per ragioni non solo di ordine sistematico il rinvio alla legge n. 47 del 1985 è contenuto anche nella legge n. 326 del 2003” – scriveva il giurista. Sta di fatto che la Corte costituzionale, intervenuta nel 2006 con una censura piuttosto severa delle norme post-sisma della Regione Emilia-Romagna, proprio a proposito delle sanatorie edilizie, sul decreto del governo Conte, a dispetto delle previsioni di alcuni critici dell’epoca, finora non risulta essere intervenuta.
Il contesto politico
Il piano giuridico, però, si sa, è scivoloso, e sempre alquanto controverso, anche se come abbiamo visto appare alquanto specioso sostenere che il governo gialloverde abbia varato un condono ex novo. Ma la politica ha meccanismi più facilmente leggibili, e il punto debole della difesa di Conte – ribadendo la premessa che processare l’ex capo del governo per la frana di Ischia è un tantino restringere il campo rispetto alle responsabilità reali del fenomeno – sta nella lettura degli eventi politici del 2018. Oltre ai citati dissensi interni al M5S e alle durissime critiche delle opposizioni parlamentari e non, è di un qualche rilievo ricordare che ci furono prese di posizione di sindaci ischitani a favore della “estensione del condono a tutti gli immobili interessati”, e non solo alle pratiche dei terremotati del 2017. A dimostrazione del fatto che, quantomeno a livello di percezione, il messaggio era proprio quello di favorire una sanatoria e non solo un’accelerazione e “semplificazione” amministrativa, per citare ancora il leader M5S. Altro elemento di contorno – ma non troppo: lo scontro interno a Forza Italia, risoltosi con l’astensione del loro gruppo sul decreto, rivendicato come un successo dai senatori azzurri della Campania. Qualche sospetto sul fatto che il segnale possa essere stato percepito come un occhio di riguardo per il consueto partito degli abusi e dell’illegalità i vertici stellati avrebbero dovuto averlo allora, e potrebbero ammetterlo oggi.
Il panorama nazionale
Eventi come quello di Ischia non sono rari, purtroppo, ma soprattutto non sono inattesi. Pezzi di montagna che franano, nel caso di Casamicciola una valanga di detriti trascinata dal crollo iniziale in un terreno formato da “sedimento non consolidato”, ce ne sono in continuazione. E ciò che è veramente preoccupante è che le autorità hanno a disposizione, ormai, una vasta documentazione sul dissesto idrogeologico: secondo il sito di divulgazione scientifica Geopop, il 90% delle frane degli ultimi dieci anni si sono verificate nelle aree indicate come ad alto rischio dalle mappe. Nel rapporto “Benessere e sostenibilità 2021”, realizzato dall’Istat, si legge che “il 13,7% della popolazione italiana vive in aree classificate a elevata o molto elevata pericolosità da frana (2,2%), e in aree a pericolosità idraulica media e alta (11,5%), cioè periodicamente soggette ad alluvioni, con tempi di ritorno variabili tra 100 e 200 anni”. E che “le attività umane che acuiscono le condizioni di vulnerabilità del territorio sono la cementificazione, l’abusivismo edilizio, l’abbandono dei terreni d’altura, lo scavo di cave, le tecniche di coltura non ecosostenibili, la mancanza di manutenzione dei corsi d’acqua e gli interventi invasivi e non ponderati su di essi”.
Il dato si fa più stringente se si guarda a quello che gli organi dello Stato e le amministrazioni locali dovrebbero fare e non fanno per prevenire i disastri come quello di Ischia. Nell’ultimo rapporto “Abbatti l’abuso”, redatto da Legambiente, si legge che “stando ai numeri forniti dagli uffici tecnici dei Comuni, dal 2004 al 2020 è stato abbattuto solo il 32,9% degli immobili colpiti da un provvedimento amministrativo, con profonde ed evidenti differenze, appunto, tra Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Piemonte e regioni come la Campania, la Sicilia, la Puglia e la Calabria, quelle più segnate dalla presenza mafiosa e dove non a caso si concentra il 43,4% degli illeciti nel ciclo del cemento registrati in Italia nel 2019. In queste quattro regioni sono state emesse 14.485 ordinanze di demolizione (con la Campania a guidare la classifica nazionale con 6.996 provvedimenti di abbattimento) e ne sono state eseguite appena 2.517, pari al 17,4%. In altri termini, cinque volte su sei l’abusivo ha la quasi matematica certezza di farla franca. Può andargli ancora meglio se l’immobile è stato realizzato lungo le coste: se si considerano solo i comuni litoranei, infatti, la percentuale nazionale di abbattimenti scende a 24,3%”.
Per tornare al tema iniziale – il focus sulle responsabilità del solo Movimento 5 Stelle e del suo leader in materia –, non sarebbe difficile osservare che le amministrazioni che dovrebbero procedere alle demolizioni assai raramente sono nelle mani dei seguaci di Conte, dal momento che il Movimento, a livello locale, è assai debole, in molti territori letteralmente inesistente. Il punto però è più vasto: quali forze si sono opposte, pur facendo parte del governo Draghi, alla promessa riforma del catasto? E con quali motivazioni? Seguendo questa traccia, si potrebbe scoprire quanto sono condivise, in genere, nei partiti – compresi quelli attualmente al governo – le preoccupazioni del partito unico dell’abuso.