Il ministro dell’Interno, Piantedosi, ha parlato di “carico residuale” in riferimento agli emigranti che il governo non intenderebbe far scendere dalla nave Humanity, ferma a Catania, dopo giorni e giorni di richieste di un porto sicuro alle autorità di vari Paesi del Mediterraneo. E un’altra espressione, “sbarco selettivo”, è diventata comune a seguito dei diversi resoconti giornalistici sulla vicenda. Sta a significare che il governo può esercitare il diritto di decidere chi fare sbarcare e chi no. Anche se non è da addebitare direttamente al governo, segnala comunque come la disumanità stia ormai sfondando nelle redazioni dei giornali, che non esitano a trattare come merce, e con un linguaggio di tipo tecnico, esseri umani in evidente sofferenza e difficoltà, in fuga da guerre, carestie e violenza generalizzata.
Le due locuzioni hanno suscitato forti polemiche nell’opinione pubblica italiana, in particolare da parte della Cei, dell’associazionismo umanitario cattolico e laico, e delle forze politiche di opposizione. Tutti hanno rilevato quanto sia aberrante utilizzare, per degli esseri umani, espressioni usate per i trasporti marittimi di tipo commerciale. Monsignor Perego, presidente della commissione per l’immigrazione della Cei, ha definito tutta l’operazione un attacco alla democrazia. Il deputato di Sinistra italiana, Aboubakar Soumahoro, presente a Catania, ha denunciato l’incostituzionalità del comportamento del governo, dal momento che la Costituzione, all’articolo 10, vincola l’Italia al rispetto delle norme del diritto internazionale.
A noi sono venute in mente le parole di Victor Klemperer, un filologo ebreo-tedesco del secolo scorso, autore di un bellissimo libro sul linguaggio del Terzo Reich. Già il titolo è molto significativo: Lti. Lingua Tertii Imperii (la lingua del Terzo Reich). L’abbreviazione allude, con ironia, alla mania che il regime aveva di abbreviare i nomi di tutte le istituzioni per significarne l’efficienza, il loro futuristico dominio pragmatico su ogni aspetto della vita. Nel suo taccuino di filologo – in cui annota giorno per giorno, dall’ascesa del nazismo fino alla fine della guerra, l’evolvere del linguaggio del regime –, Klemperer mostra come il linguaggio tecnico non abbia aumentato la sua presenza solo in virtù della crescente industrializzazione (come avvenuto, fino a quel momento, in tutti i Paesi moderni), ma mediante l’invasione di ogni ambito della vita, contribuendo così alla meccanizzazione dell’intera società.
Tale meccanizzazione doveva garantire la fedeltà cieca al Führer e ai comandi del regime: “La sostanza di ogni educazione militare consiste nel rendere automatica una serie di manovre e di azioni, in modo che il singolo soldato, il singolo gruppo, indipendentemente da influssi esterni, da proprie considerazioni, da ogni moto istintuale, esegua esattamente il comando del superiore, così come si mette in moto una macchina spingendo un bottone. Ognuno deve essere un automa nelle mani del superiore e del capo supremo, ma contemporaneamente colui che pigia il bottone che mette in funzione l’automa a lui sottoposto. Questa struttura occulta fa apparire normale il processo di schiavizzazione e spersonalizzazione; di qui il grande numero di espressioni della ‘Lti’ tratte dal settore della tecnica e una massa di parole che rafforzano tale processo”.
Che nelle redazioni dei giornali si possa usare tranquillamente la locuzione “sbarco selettivo”, che un ministro della Repubblica possa riferirsi a degli esseri umani con un simile linguaggio, conferma tutta la nostra preoccupazione circa i processi di meccanizzazione e spersonalizzazione, che potrebbero renderci schiavi e schiavisti al tempo stesso.