La prima volta. Il 9 novembre, per Giorgia Meloni, ci sarà il battesimo della trattativa con i sindacati. Dopo l’incontro della scorsa settimana tra la ministra del Lavoro, Marina Calderone, e le associazioni sindacali (praticamente tutte le sigle convocate al ministero), domani sarà la volta di Palazzo Chigi. L’incontro è stato richiesto con grande forza dalle confederazioni Cgil, Cisl, Uil, le cui segreterie non si sono accontentate degli annunci generici sulla riforma delle pensioni. Domani pomeriggio la prima prova del nove. I tempi sono molto stretti, perché le richieste dei sindacati riguardano tutte le scelte (dirette e indirette) che il governo si appresta a fare per la legge di Bilancio 2023, che deve essere chiusa a dicembre.
I tre segretari generali di Cgil, Cisl, Uil hanno chiesto l’incontro con una lettera alla presidenza del Consiglio dei ministri. È arrivata la convocazione per domani pomeriggio. L’ordine del giorno della riunione è dunque molto ricco: si parlerà del taglio del cuneo fiscale, delle misure contro l’aumento dei prezzi e dei costi energetici. Vanno, prima di tutto, indicate e trovate le risorse finanziarie, visto che solo per il taglio del 2% del cuneo fiscale servono 3,5 miliardi. Ma si parlerà anche di flat tax e di pensioni. Per il leader della Cgil, Maurizio Landini “c’è da capire quante risorse ci sono e dove vuole metterle il governo. Se vengono destinate tutte all’emergenza energetica non vorrei che poi ci dicessero che per il cuneo fiscale non c’è più nulla”.
A proposito delle risorse da destinare alla manovra, la Cgil mette in evidenza la mancanza totale di riferimenti a un possibile intervento sugli extraprofitti e sulla riforma fiscale per reperire le risorse da redistribuire ai salari. Anche per la Uil la questione fiscale dovrà stare al centro delle scelte del governo, per favorire una redistribuzione reale della ricchezza, evitando la riproposizione di vecchie manovre che negli anni passati hanno favorito solo i ricchi e gli evasori. Per il numero uno della Uil, Pierpaolo Bombardieri, “bisognerebbe anche detassare gli aumenti contrattuali e la tredicesima”. Discorsi simili quelli della Cisl che mette in evidenza l’aumento vistoso e inaccettabile delle diseguaglianze sociali.
Il capitolo pensioni è delicato. Nel primo faccia a faccia con le organizzazioni sindacali, la ministra del Lavoro, Marina Calderone, aveva parlato della necessità di una riforma complessiva delle pensioni, aprendo all’introduzione di quota 41 nel 2023 per arginare l’impatto dello scalone dovuto alla fine di quota 102. Ma le idee dei sindacati, in proposito, sembrano essere molto diverse da quelle della maggioranza che governa il Paese: “Va garantita la flessibilità in uscita – ribadisce il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra – a partire dai 62 anni di età o con quota 41”.
Molto netta, e in linea con la piattaforma unitaria delle tre confederazioni (si può leggere la versione integrale sui siti dei sindacati nazionali), la posizione della Cgil, che propone anche un bilancio realistico di quello che si è fatto finora per mettere delle toppe alla legge Fornero. “Noi siamo preoccupati del fatto che se non ci fossero interventi entro la fine dell’anno si tornerebbe alla legge Fornero senza correzioni dal primo gennaio prossimo – dice il segretario confederale Cgil, Christian Ferrari – è probabile che il governo ci proporrà alcune proroghe. Ma ci sono varie criticità che noi abbiamo già fatto presenti”. La Cgil pensa, per esempio, che la proroga di quota 102 sarebbe una misura inutile, come dimostrano i dati che il sindacato ha diffuso a proposito dei primi cinque mesi dell’anno. Le domande per l’uscita con quota 102 sono state, fino a maggio, 3860: di queste non tutte saranno accolte, è quindi evidente che le domande accolte non potranno superare le ottomila.
Anche per quanto riguarda le altre misure che potrebbero essere prorogate, ci sono molte criticità da considerare. Per quanto riguarda, per esempio, l’Ape sociale, rispetto ai dati 2022 del primo e del secondo monitoraggio, solo poco più di ottomila domande sono state accolte, e difficilmente si raggiungeranno le tredicimila che erano state liquidate lo scorso anno (2021). Secondo i dati dell’Osservatorio pensioni della Cgil, si registra un numero di liquidazioni inferiore alle attese rispetto alla formula dell’Ape sociale, nonostante sia stata prevista, oltre alla proroga di un anno, l’eliminazione dei tre mesi di inattività lavorativa per i disoccupati, l’allargamento della categoria dei gravosi e l’abbassamento dei requisiti dei 36 anni per edili e ceramisti a 32 anni.
Il numeretto “magico” della riforma delle pensioni potrebbe dunque essere il 41. Ovvero gli anni di contribuzione che saranno considerati sufficienti per lasciare il lavoro una volta maturati. Ma alla sua prima applicazione quota 41 sarà “calmierata”. Una volta compiuti i 41 anni di contributi versati, sarà necessario avere raggiunto anche una certa età anagrafica. Quale è ancora presto per dirlo. Si parla di un range tra i 61 e i 63 anni. All’Inps sono state già chieste varie simulazioni per capire i costi della misura. Il governo pensa a una riforma strutturale; ma visti i tempi strettissimi (fine dicembre), non c’è tempo per realizzarla quest’anno. Quindi si agirà con lo strumento delle proroghe delle misure già in vigore.
L’unica cosa certa, per ora, è che nella legge di Bilancio ci sarà la conferma di altre due misure oggi in vigore, ma in scadenza a fine anno: “opzione donna” e l’Ape sociale. Per quanto riguarda la prima, permette il pensionamento a 58 anni, con 35 di contributi per le donne, ma a patto di accettare un ricalcolo contributivo dell’assegno previdenziale. Significa una pensione strutturalmente più bassa di circa il 20-25%. La seconda misura è la conferma dell’Ape, ossia di un assegno di accompagnamento alla pensione per chi ha compiuto 63 anni – avendone 30 o 36 di contributi, questi ultimi impiegati in attività gravose.
Capiremo meglio domani le reali intenzioni del governo. Intanto, cresce l’attesa tra i lavoratori, mentre i sindacati si preparano a giudicare dai fatti, ovvero dalla scelta di far partire una trattativa vera (piuttosto che una passerella di rappresentanza formale) per entrare nel merito delle scelte. Quello della scorsa settimana – ha dichiarato il segretario generale della Cgil, Landini – “è stato un primo incontro per conoscerci, non siamo grado di esprimere un giudizio di merito. Per esprimere un giudizio complessivo verificheremo quello che ci sarà nella legge di Bilancio”. E ovviamente la verifica riguarderà, prima di tutto, la risposta che la presidente del Consiglio darà alle richieste dei sindacati. “Le proroghe sono solo una misura tampone e non risolvono affatto i problemi delle lavoratrici e dei lavoratori – spiega il segretario confederale Cgil, Christian Ferrari –, noi riproporremo al governo tutte le nostre proposte per una riforma organica e strutturale delle pensioni. I temi sono molti e tutti molto complessi: dal riconoscimento pieno del lavoro delle donne, alle misure per i giovani che oggi svolgono lavori precari, che non daranno loro la possibilità di costruirsi pensioni decenti. Ci vuole una pensione di garanzia ed è necessario avviare una riflessione sul nuovo contratto sociale che starà alla base del sistema previdenziale futuro, ripensando il rapporto tra contribuzione e fiscalità generale. L’altro nodo riguarda certamente l’introduzione di sistemi flessibili che permettano ai lavoratori di scegliere quando lasciare il lavoro senza penalizzazioni”.
“Tornando invece all’attualità politica – precisa Ferrari –, l’emergenza è evitare il ritorno a pieno regime della legge Fornero, che quasi tutti i partiti hanno garantito di voler superare. Ora dobbiamo concentrarci sugli interventi più immediati e urgenti, a partire dagli strumenti ‘vigenti’ che si esauriscono il prossimo 31 dicembre, e che devono essere confermarti e allargati. L’Ape sociale (che va rafforzata a partire dai gravosi) e ‘opzione donna’. Il tutto tenendo conto che il bacino dei soggetti in regime retributivo si sta esaurendo rapidamente, e almeno 2/3 delle posizioni sono già calcolate con il sistema contributivo. L’uscita flessibile, quindi, non determina costi aggiuntivi, ma solo un anticipo di cassa. E c’è anche una minore propensione soggettiva al pensionamento anticipato. Come hanno dimostrato quota 100, utilizzata non da tutti coloro che avevano i requisiti, e ancor di più quota 102. Questo perché c’è una valutazione di convenienza, visto che l’età incide sul calcolo dell’assegno”.