Alzi la mano chi aveva pronunciato la parola “rave” più di tre volte negli ultimi dieci anni… si scherza, ma non troppo. Eppure il primo decreto legge, cioè un provvedimento che la nostra Costituzione autorizzerebbe, in teoria, solo “in casi straordinari di necessità e di urgenza” (articolo 77, secondo comma), contiene norme che il governo Meloni e il ministro dell’Interno hanno qualificato come “anti-rave”. Non si vogliono qui approfondire gli aspetti giuridici relativi al conflitto della norma in questione con la Costituzione (in particolare, con l’articolo 17 che garantisce la libertà di riunione ai cittadini della Repubblica). Dal momento che il presidente della Repubblica ha fatto sapere, attraverso i suoi consueti esegeti a mezzo stampa, di non aver ravvisato un contrasto “palese” con la Carta, tale conflitto, se la norma non subirà nell’iter parlamentare modifiche significative (alle quali, tuttavia, diversi esponenti dell’esecutivo hanno di fatto già dato disponibilità di massima), sarà molto probabilmente oggetto di scrutinio da parte della Corte costituzionale. I tempi di una possibile pronuncia, comunque, non sono prevedibili, e dipendono dalla concreta applicazione della norma, che potrebbe spingere qualche tribunale a sollevare la questione.
Il tema che questa vicenda solleva, però, è un altro: potremmo in sintesi definirlo un caso di “agenda setting”. Si tratta di quella teoria della sociologia della comunicazione che misura la capacità dei mezzi di comunicazione di massa (giornali, radio, tv, oggi anche i social network sui quali rimbalzano e vengono masticate e digerite le notizie quotidiani) di influenzare il discorso pubblico e determinare, per questa via, le idee e le preoccupazioni (o le priorità fra le preoccupazioni) dei lettori-utenti-cittadini. Per i soggetti politici, come partiti e amministratori pubblici, la capacità di orientare il dibattito pubblico, spingendo verso la sovraesposizione di determinate notizie o temi, è da molti anni una delle più ricercate. Il caso delle cosiddette norme anti-rave potrebbe rappresentare, in futuro, un caso di scuola per gli studiosi di questa teoria sociologica.
Il testo che definisce il nuovo reato, normato dall’articolo 434 bis del codice penale (trattandosi di un decreto legge, questo articolo è attualmente in vigore, anche se potrebbe essere modificato dalle Camere che lo esamineranno in queste settimane), recita: “L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Com’è noto, la pena fino a sei anni consente di indagare con strumenti invasivi molto pesanti come le intercettazioni, e per accertare chi sia a organizzare e chi solo a partecipare bisogna indagare: si potranno quindi intercettare potenzialmente tutti i partecipanti… ma a cosa? A un rave? No, perché la norma parla di “raduni pericolosi”, non di rave (un peccato, saremmo stati curiosi di leggere una tipizzazione giuridica di tali eventi, a proposito dei quali ci ha illuminato qui il nostro Agostino Petrillo. Insomma, l’impressione è che noi (giornalisti, parlamentari, italiani in genere) ce ne occupiamo, perché i promotori della nuova legge ci hanno detto che di quello si occupa. Ma la lettura della norma ha invece suscitato allarmi per un suo possibile e forse probabile utilizzo volto a reprimere ogni forma di lotta che esuli dal pacifico sit-in o corteo, con percorso concordato con la competente questura: occupazioni, picchetti, cortei non autorizzati.
Si torna quindi al tema agenda setting: prima, una settimana a parlare dell’articolo “il” preteso da Giorgia Meloni prima del titolo di presidente del Consiglio (ok, la cosa ha effetti a volte comici, ma non influirà troppo sui consensi o dissensi nei confronti del nuovo governo), poi una settimana inchiodati sui rave, perché questo ci è stato comunicato essere l’oggetto di quella parte del decreto. Ma anche un’intensa polemica sull’anticipo di un paio di mesi deciso per il rientro in servizio dei medici e dei sanitari definiti un po’ brutalmente “no vax”. Il tutto mentre i confini fra coinvolgimento indiretto (armi, aiuti umanitari, aiuti finanziari) e coinvolgimento diretto – in ambito Nato ovviamente – della “nazione”, per attenersi al lessico governativo, in una guerra che rischia ogni giorno di diventare mondiale e nucleare, restano opachi e volutamente occultati al parlamento, cui non è stata data la possibilità di discuterne per molti mesi. Il tutto mentre centinaia di imprese e di amministrazioni pubbliche rischiano di andare gambe all’aria a causa dell’impatto dell’inflazione e del caro energia, che è stato l’elemento scatenante della crisi. Il tutto mentre i vertici dell’Unione europea e delle sue autorità monetarie ci avvertono dell’avvicinarsi della minaccia della stagflazione (ce n’eravamo accorti un bel po’ di tempo fa, per esempio qui). E mentre i primi passi della presidente del Consiglio in Europa, nella situazione drammatica che l’Italia e l’Europa stanno vivendo si limitano, per ora – parole e musica di Giorgia Meloni nella sua prima missione a Bruxelles –, alla speranza di “smontare una narrativa che è stata fatta sulla sottoscritta e sul governo italiano: non siamo dei marziani, siamo delle persone in carne e ossa che spiegano le loro posizioni e mi pare che dall’altra parte ci fossero persone che avevano voglia di ascoltare”. Chi si accontenta gode, a noi non rimane che parlare di rave.