Lo scorso agosto alla presenza di Jon Abrahamsson, Ceo di Inter Ikea Group e di altri dirigenti del colosso svedese, Ikea è sbarcata in Plaza Kennedy de Las Condes a Santiago del Cile, con una installazione di quindicimila metri quadrati, che ne includono più di ottomila di superficie di vendita. L’aspettativa, per l’arrivo del gigante svedese, era così alta che perfino Mario Marcel – ministro delle Finanze del governo di Gabriel Boric – ha partecipato all’inaugurazione. L’attrattiva, per la grande novità, è continuata per diverse settimane e, all’entrata nel negozio, si doveva fare una fila addirittura di quaranta minuti. L’apertura di un secondo locale a Santiago è prevista nell’anno in corso, al Mallplaza Oeste.
Sono passati quattro anni dall’annuncio dell’accordo con la holding della famiglia cilena Solari, che allora aveva annunciato un investimento stimato in seicento milioni di dollari. Sul piano economico, l’accordo prevede un canone annuo del 3% sulle vendite nette, a titolo di quota per la concessione del marchio. Oltre all’apertura del primo punto vendita in Cile, che lo scoppio della pandemia ha ritardato di due anni, l’azienda fondata in Svezia da Ingvar Kamprad, deceduto nel 2018, e ora capeggiata dal figlio Mathias, aveva programmato che, tra il 2019 e il 2023, sarebbe entrata in diciassette nuovi mercati, aprendo cinquanta nuovi punti vendita all’anno. Al momento, Ikea è la principale marca di mobili al mondo, con la nordamericana Ashley Furniture, e possiede quattrocento negozi su cinquanta mercati, con un fatturato che nel 2021 è stato di 41.300 milioni di euro, rispetto ai 39.600 milioni dell’anno precedente. Nel 2021, Ikea ha incassato ben 1.273 milioni di euro in fees, con un aumento del 9,5% rispetto al 2020, mentre, dai suoi bilanci, si apprende che ha ricavato 24.282 milioni di euro dalla vendita di prodotti all’ingrosso ai suoi licenziatari. A tutti gli effetti, il business maggiore.
La grande azienda svedese è strutturata in tre divisioni, che rispettivamente si occupano di franchising, prodotti e fornitura. La parte del franchising è affidata a Ikea Systems B.V., incaricata di gestire il brand a livello mondiale. Al momento raccoglie dodici licenziatari, ultimo dei quali, in ordine di tempo, la cilena Falabella. L’accordo con i cileni di Falabella – la maggiore azienda al dettaglio in America latina – prevedeva anche l’apertura di almeno nove punti vendita, tra Cile, Colombia e Perù, oltre allo sviluppo delle vendite online in questi stessi Paesi. Fino all’agosto del 2021, Ikea aveva quattordici dipendenti a tempo pieno in Cile – ma una volta aperti tutti i due punti vendita nel Paese, gli assunti saranno settecento, mentre l’azienda utilizzerà la rete logistica del licenziatario, che dispone attualmente di duecentosessanta punti “click&collect” per ritirare gli acquisti online.
Per quanto Falabella sia una formica al confronto dell’impresa globale Ikea (secondo Marta Lagos direttrice di “Latinobarómetro”), l’azienda cilena rappresenta una realtà economica diffusa, anche se spesso è stata oggetto di reclami da parte di clienti insoddisfatti, che si sono rivolti al Servicio nacional de consumidor. Un vecchio rapporto, riguardante gli anni 2013 e 2014, informa che Falabella ha riscosso un totale di 35.461 reclami nell’ultimo periodo considerato, con un aumento del 15,6% rispetto a quello precedente; ed è stata l’azienda del settore, tra le varie prese in esame, a ottenere la maggiore quantità di lagnanze da parte della clientela.
L’arrivo di Ikea in Cile non è stato comunque il primo incontro con la realtà latinoamericana, dato che, già nel 2010, c’era stato il primo test con un’apertura a Santo Domingo, nella Repubblica dominicana. Per dieci anni, è stata questa l’unica presenza dell’azienda svedese nella regione; solo nel 2020, Ikea ha aperto, in piena pandemia, il suo secondo negozio a Città del Messico e l’anno seguente un terzo a San Juan di Porto Rico. A differenza dell’accordo di franchising con Falabella, i primi tre store sono gestiti direttamente dalla casa svedese. Dal canto loro, i vertici di Falabella hanno recentemente annunciato la prossima apertura di un negozio a Bogotà, nella prima metà del 2023. E Ikea prevede un negozio a Puebla, in Messico, per il prossimo anno, dove il suo canale di vendita online è già in funzione.
Una vicenda, dunque, che sembrerebbe avere aspetti positivi, e presenta tuttavia più di qualche dubbio e preoccupazione, fatti emergere nei giorni scorsi dalla piattaforma cilena di giornalismo investigativo “OjoPúblico”, che ha sollevato il problema di dove verrà il legname da utilizzare per la costruzione dei mobili.
Partendo dalla constatazione che Falabella ha aumentato l’importazione di legno brasiliano – mentre prepara l’apertura di nuovi negozi in Cile, Colombia e Perù –, i dati analizzati confermano che il gruppo cileno ha importato legno grezzo nel 2021 come mai prima negli ultimi anni. Nel frattempo, la sua influenza sta aumentando sempre più in Perù, dove il legno lavorato dall’azienda rappresenta la metà di tutto quello che entra attraverso i porti. Il dubbio sulla provenienza della materia prima necessaria alla costruzione dei mobili nasce dalla mancanza di informazioni esaurienti da parte dei fornitori. E la conseguente domanda sulle possibili conseguenze che l’arrivo di Ikea potrà avere sulle foreste amazzoniche, non pare peregrina. I dati sul commercio globale, analizzati da “OjoPúblico”, rivelano un aumento delle importazioni di legno dal Brasile, da parte di Falabella, da destinare al Cile e al Perù negli ultimi due anni. La tendenza crescente all’importazione di legno brasiliano – e il fatto che Ikea non abbia voluto rivelare l’origine della materia prima che utilizzerà nei negozi latinoamericani – suscita quindi la preoccupazione degli esperti del commercio del legno.
Secondo Tara Ganesh – ricercatrice di Earthsight, organizzazione senza scopo di lucro che produce indagini approfondite per denunciare la criminalità ambientale e sociale, l’ingiustizia e i suoi legami con il consumo globale –, “con la sua eredità di scandali irrisolti in Europa, l’ingresso di Ikea in nuovi ed enormi mercati in America latina è preoccupante. Il continente ospita alcune delle foreste più critiche per il clima che ci rimangono, ed essendo il più grande consumatore di legno del pianeta, il suo rifiuto di rispondere alle domande sulla provenienza del legno che userà in questi nuovi negozi dovrebbe far scattare l’allarme”. L’organizzazione ambientalista, che opera dal 2007, non è nuova alle accuse contro l’azienda svedese, avendo rivelato l’anno scorso che Ikea riforniva il mercato europeo di mobili realizzati con legno proveniente dal disboscamento illegale in Russia. E con l’intenzione di fornire una informazione completa, “OjoPúblico” ha chiesto di conoscere l’origine del legno direttamente all’azienda svedese e a Falabella, il licenziatario sudamericano; ma nessuno dei due soggetti ha ritenuto di dover fornire informazioni al riguardo. Tuttavia nemmeno hanno negato che i loro fornitori siano brasiliani.
L’unica risposta che “OjoPúblico” ha ottenuto, dalla sede centrale di Londra di Ikea, è stata una precisazione che non precisa nulla: “I fornitori di Ikea si riforniscono di materie prime e producono prodotti in molti Paesi e regioni del mondo. Non specifichiamo l’origine del materiale di prodotti, poiché questo può variare a seconda del tempo e della disponibilità. Tuttavia, chiediamo a tutti i fornitori di rifornirsi di legno in modo da soddisfare i nostri requisiti di fonti più sostenibili: legno certificato dal Forest Stewardship Council o riciclato”. Richiedono dunque di soddisfare i requisiti. Ma i controlli? Sembrerebbero assenti, a sentire Tara Ganesh, che denuncia come “le recenti ricerche hanno rivelato che Ikea ha usato pelle e legno da fonti molto controverse negli ultimi anni. Con i problemi sistemici alla base di questi scandali irrisolti, l’ingresso di Ikea in nuovi mercati che ospitano alcune delle risorse forestali più critiche per il clima della terra dovrebbe far scattare l’allarme nei consumatori della zona”,
Intanto, secondo i dati analizzati da “OjoPúblico”, le importazioni di legno di Falabella sarebbero aumentate in Cile e Perù negli anni successivi alla firma dell’accordo con Ikea: sia il legno grezzo sia i tagli di legno lavorato, entrambi fondamentali per la produzione di mobili, sono aumentati tra il 2018 e il 2021. Nel 2021, un anno prima dell’apertura del primo negozio Ikea, il gruppo Falabella ha importato legno non lavorato come mai prima negli ultimi anni in Cile: quasi 80.000 tonnellate, più del doppio di quello che è entrato nel 2020, quando non erano nemmeno state raggiunte le 40.000 tonnellate. Le importazioni hanno così ampiamente superato le cifre pre-pandemia. Anche le importazioni di legno lavorato sono raddoppiate, nel 2021: le spedizioni sono aumentate oltre le 25.000 tonnellate. Una uguale tendenza è stata registrata da Falabella Perù, dove si prevede di aprire un nuovo negozio nei prossimi mesi. Le entrate del legno lavorato sono cresciute del 50% nel 2021. Le 32.000 tonnellate importate da questo gruppo di vendita al dettaglio rappresentano più della metà di tutto il legno lavorato che entra nei porti peruviani. “Qual è l’origine del legno che ha importato Falabella?” – si chiede “OjoPúblico”. Va da sé che, nell’analisi della piattaforma di giornalismo investigativo, il Brasile appaia come uno dei principali fornitori, le cui esportazioni verso il Cile e il Perù hanno avuto una crescita sorprendente nell’ultimo anno, passando da 2.000 tonnellate a 15.000 tonnellate per la sede cilena della holding. La maggior parte del legno grezzo importato dal Brasile consiste in tavole come l’Oriented strand board – composto da pezzi di conglomerato. Il 32% di queste importazioni è rappresentato da queste tavole composte abitualmente da trucioli di legno di pino incollati a pressione. Sia il pino sia l’eucalipto sono legni che Ikea usa spesso, le cui piantagioni si trovano nel Nord-est del Brasile e nello Stato del Mato Grosso do Sul.
Del resto, come sostiene un responsabile dell’Amazzonia per Greenpeace Brasile, “è molto difficile avere la certezza che il legno brasiliano utilizzato per la costruzione di mobili è legale, perché il sistema che abbiamo non funziona”. Abbiamo già identificato decine di modi per falsificare il nostro sistema. Praticamente non ci sono controlli da parte delle autorità. L’85% dei piani forestali che abbiamo verificato avevano segni di frodi”. Aggiungendo che lo stesso sistema brasiliano permette di “truccare” il legno estratto illegalmente per importarlo legalmente in altri Paesi.
Secondo Miguel Ángel Soto, specialista del legno di Greenpeace Spagna, “Ikea inizia a usare il legno di eucalipto, le cui piantagioni sono in Brasile. Anche il Sud del Cile e l’Argentina hanno molte conifere come quelle comunemente usate per i loro mobili. Comunque, non vedo Ikea entrare nell’Amazzonia, nel giardino del legno tropicale, perché potrebbe avere un altro importante problema di immagine”.
Un accenno alla famiglia Solari, una delle più ricche del Cile. Azionista di maggioranza di Falabella, ha scommesso sulla formula di successo della Ikea, basata su mobili economici e belli, gli stessi prodotti che uniformano le case della classe media europea. Con questa formula, intende ora conquistare il mercato sudamericano. L’azienda cilena sta lanciando una nuova strategia – che include la chiusura del 10% di diversi negozi dei suoi marchi storici in Perù, Cile e Colombia per rafforzare i suoi canali di e-commerce –, nella quale si gioca anche questo nuovo accordo con Ikea. Ciò detto, Falabella ha al suo attivo una storia di presenza nei paradisi fiscali, e ha gestito le sue attività e fortune private attraverso una trama di società offshore a Panama e nelle Isole Vergini britanniche, secondo quanto rivelato dal consorzio internazionale del giornalismo investigativo, con i Pandora Papers.
Anche Ikea è sotto la lente di ingrandimento, dopo le rivelazioni dei Luxembourg Leaks e dei Panama Papers: quello delle tasse è un suo punto dolente. Le fughe di notizie guidate hanno rivelato che l’azienda – vanto nazionale della Svezia – ha fatto ricorso a una complessità di giurisdizioni europee a bassa tassazione, come Lussemburgo, Liechtenstein e Olanda, per pagare il minore numero possibile di tasse. Ikea ha fatturato quasi 25.000 milioni di dollari nel 2021, ma il suo contributo fiscale è stato di soli 2.000 milioni di dollari, secondo la stessa comunicazione del gruppo. Il 3% dei franchising forniti dai negozi latinoamericani sarà incluso tra quei fondi milionari che vengono incanalati attraverso complesse strutture giuridiche, che vengono spesso utilizzate per l’elusione fiscale: una pratica legale ma messa in discussione. “Paghiamo le tasse nei Paesi in cui operiamo in base al valore creato lì e alla realtà economica del nostro business. E ci aspettiamo lo stesso dai nostri franchisee. Le nostre entrate, per il canone annuale di franchising, sono tassate in Olanda attraverso l’entità legale Inter IKEA Systems BV, mentre le entrate da Ikea Chile sono tassate in Cile attraverso Falabella” – ha spiegato l’azienda.
Sebbene Ikea sia un complesso sistema di scatole cinesi – in cui ogni Paese è una società a sé stante, che quindi paga le tasse nel luogo dove vende –, “essendo la più grande multinazionale del mobile al mondo – ammette un dirigente che preferisce conservare l’anonimato – è facile trovare delle cose complesse e difficili da capire (…); anche noi, a volte, non capiamo come siamo costruiti tra le varie responsabilità e rami di azienda”. Un intrico di contratti, società, interessi che vanno a formare il complesso mosaico dell’universo Ikea – ma dove talvolta il filo scappa di mano e si cade nell’errore? O piuttosto un abile puzzle che consente ai vertici aziendali di operare in modo talvolta opaco nella certezza di sfangarla?