La piccola Onu. Così è stata chiamata la Comunità di Sant’Egidio, storica associazione cattolica fondata nel 1968 da Andrea Riccardi, non a caso tre anni dopo la chiusura del Concilio ecumenico Vaticano II. Una realtà impegnata a trecentosessanta gradi sui temi della solidarietà e dell’aiuto agli ultimi, ma che nel corso del tempo ha ricoperto un importante ruolo diplomatico, in primo luogo nella risoluzione della guerra civile in Mozambico, con la pace firmata nel 1992 tra governo e ribelli. E poi nel conflitto tra le organizzazioni islamiche fondamentaliste e il governo algerino, che negli anni Novanta insanguinò il Paese nordafricano: in questo caso, però, senza risultati.
Anche domenica 23 ottobre, nell’ambito dell’incontro internazionale tra diverse fedi religiose organizzato dalla Comunità alla Nuvola di Fuksas a Roma,moderato da Hilde Kieboom vicepresidente dell’associazione – edurante il quale sono intervenuti Sergio Mattarella, Emmanuel Macron e il cardinale Matteo Zuppi –, la storica associazione “trasteverina” ha fatto intendere che non ha nessuna intenzione di restare a guardare il terribile conflitto che da febbraio sta insanguinando l’Ucraina dopo l’aggressione russa. E che in qualche modo, con tutte le differenze del caso, intende riprendere quel ruolo fatto appunto di spirito di conciliazione e diplomazia. Al riguardo, come tutti coloro che pronunciano la parola pace, ha voluto precisare che chi si batte per far tacere le armi non può essere considerato un amico della Russia. Su questo punto, Riccardi ha manifestato fastidio nei confronti di chi si diletta a stilare improbabili liste di proscrizione anche nei riguardi del mondo cattolico, com’è accaduto per il direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio. “Una delle cose più sciocche del nostro tempo – ha detto Riccardi – è che dire ‘pace’ voglia dire essere filo-putiniani. La politica ha bisogno di sguardo ampio. Non si può essere realisti se in una qualche misura non si è utopisti, cioè se non si guarda con forza al di là del presente. Il messaggio e la politica devono andare oltre”.
A proposito di utopia, anche il tema dell’incontro tra le diverse fedi religiose è stato accompagnato, e non poteva essere altrimenti, dal tema della pace. Se sul conflitto russo-ucraino l’ex ministro del governo Monti si è voluto richiamare alle parole di papa Francesco – “la preghiera è la forza della pace”, ha detto Bergoglio che domani si recherà a pregare al Colosseo –, difficile non ricordare il messaggio di papa Wojtyla: quello che, dopo l’avvio della politica del presidente sovietico Gorbaciov – premessa della caduta del Muro di Berlino, obiettivo centrale della politica del pontefice polacco –, aveva rivolto il proprio sguardo altrove. “La pace – disse Giovanni Paolo II in occasione dell’evento di Assisi del 27 ottobre del 1986 – è un cantiere aperto a tutti ed è una responsabilità universale”.
Contro chi ha osato parlare di retorica della pace, sono arrivate le parole del rabbino capo di Francia, Korsia Haïm, che nel corso dell’incontro ha parlato di pace “come speranza e orizzonte” e come “opera che dobbiamo costruire”. L’incontro internazionale si è concluso con l’intervento del segretario generale della Lega islamica mondiale, Muhammad bin Abdul Karim al-Issa. Un contesto culturale e religioso, quello dell’islam, immerso, spesso suo malgrado, in mille conflitti in Medio Oriente, in Africa e non solo, dove la religione diventa sovente sinonimo di guerra. “Noi in quanto fedeli invochiamo Dio ogni giorno, affinché prevalga la pace e affinché i fratelli tornino ad abbracciarsi” – ha detto al-Issa, che ha aggiunto: “quando sorgono divisioni nel mondo, si crea un vuoto dove germogliano idee negative che portano, talvolta, a decisioni di estrema gravità”.
A dimostrazione che i promotori e protagonisti di questo incontro erano solo amici degli ucraini e delle ucraine, c’è stata la testimonianza di Olga Makar, giornalista ucraina specializzata in temi sociali e responsabile del movimento Giovani per la pace della Comunità di Sant’Egidio. “Il 24 febbraio – ha ricordato Olga – mi sono svegliata per il rumore delle esplosioni. Quello che sembrava impossibile stava succedendo: era scoppiata la guerra. In questi mesi, abbiamo ascoltato molte storie drammatiche e il lutto è diventato la norma”.
Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, una delle figure simbolo della Chiesa solidale e pacifista vicina a Francesco, ha usato parole in consonanza con la filosofia dell’incontro: “La pace – ha detto Zuppi – è un affare troppo importante per essere affidato a pochi e ci riguarda tutti. Nessuno qui è disoccupato nell’impegno per la pace. Almeno così dovrebbe essere” in un contesto in cui “si sente parlare troppo di riarmo”. “Combattiamo – ha sottolineato – la pandemia della guerra, come abbiamo combattuto quella del Covid”.
La ricerca instancabile della pace, attraverso scelte che dovrebbero fare di tutto per evitare catastrofiche derive belliche, e la denuncia dei tanti crimini che ancora affliggono il pianeta, dovrebbero essere alla base di ogni politica. Anche perché – ha inoltre sottolineato Riccardi – “è scomparsa la generazione della seconda guerra mondiale e della Shoah in un mondo facile all’oblio”, che ha dunque bisogno di nuove irrinunciabili testimonianze.