Specialmente a sinistra, a causa dell’incultura politica degli ultimi decenni, spesso si dimentica che il fascismo e il nazismo ebbero ampio consenso in Italia e Germania. Non furono solo l’esercizio di una violenza liberticida e barbarica. Si dimentica, cioè, che il fascismo, con la sua variante nazista, fu una risposta moderna al problema moderno della crisi delle liberaldemocrazie di inizio Novecento, in seguito all’irrompere delle masse e delle ragioni del lavoro nell’agone politico e nella vita sociale in genere. Quel consenso fu tale ed effettivo tanto che gli interpreti più acuti e avvertiti del nazifascismo parlarono di regimi reazionari di massa. E non deve sorprendere la parola “moderno”. Il fascismo infatti seppe utilizzare, per la formazione del proprio consenso, alcuni strumenti tipici della modernità industriale: dai mezzi di comunicazione di massa alla gestione del tempo libero tramite il dopolavoro. E fu moderno perché diede risposta alla questione della crisi della democrazia, durante la quale vennero al pettine i nodi di quel tipo di liberaldemocrazia, incapace di tenere assieme le ragioni della libertà con quelle della sicurezza, i diritti degli individui con quelli della collettività, la libertà d’impresa con il valore sociale del lavoro, la libertà personale con il bisogno umano di sentire l’unità della propria vita, di rompere cioè l’alienazione economica, politica e spirituale tipica del capitalismo.
Oggi abbiamo la possibilità di vivere in diretta come un certo tipo di retorica fascista e determinati regimi politici – in particolare quelli di Polonia e Ungheria – acquisiscano consenso popolare di massa nelle società europee. Un osservatorio interessante, per quanto ovviamente ristretto, è anche la pagina Facebook di “terzogiornale”, i commenti che vari lettori postano sotto la condivisione degli articoli. Possiamo vedere che, sempre più, si menzionano la nazione e gli italiani, il Paese che non ce la fa perché svenduto alle multinazionali e agli interessi dei poteri forti, da parte di politici avidi e corrotti; la “povera gente” che soffre per le malversazioni di una casta di sindacalisti, dirigenti di partito, funzionari pubblici che “rubano lo stipendio”. In questi commenti, il capitale e il lavoro non esistono più come categorie, così come non ci sono più i lavoratori come portatori di un punto di vista autonomo sul mondo a partire dal fatto che sono coloro che producono. La politica, allora, non è più la partecipazione attiva, tramite i corpi intermedi, alla costruzione di un’idea di mondo e di libertà, come modo per dare senso anche alla propria vita individuale, in conflitto con altre idee di mondo e di libertà. Si configura piuttosto, sempre più, come l’affidamento a un leader carismatico e autoritario, che finalmente manderà a casa i ladri, i corrotti e i “poltronisti”, smantellerà le “mangiatoie” di Stato, caccerà le multinazionali dalla nazione per far respirare di nuovo il popolo, la gente per bene che fa i sacrifici ogni giorno per la propria famiglia e i propri figli.
A fronte degli articoli del nostro giornale – che provano a fare il punto sulla politica industriale, la crisi ambientale e climatica, il ruolo del sindacato, la crisi della democrazia e del parlamentarismo, la crisi dei partiti e della partecipazione democratica, le nuove forme di sfruttamento e la frammentazione del mondo del lavoro –, i commenti si concentrano per lo più sull’idea di nazione e di popolo, sulla narrazione di una casta cosmopolita, riunita in qualche consesso segreto oltreatlantico, che trama per affamare i popoli, per rubarne la ricchezza a favore dei cosiddetti poteri forti. Insomma, la retorica populista si sta intrecciando sempre più con quella sovranista e complottista. A volte spunta il nome di Soros come capo di tale casta sovranazionale – e il non detto di quel nome è che si tratta di un ebreo. Infine, va sottolineata la violenza del linguaggio. E tale violenza non si esplicita solo nell’insulto più o meno volgare, in essa è implicita anche l’idea di una sorta di riscatto: stiamo vincendo noi, il vostro tempo è finito, faremo piazza pulita di tutti i privilegi, di tutti coloro che rubano lo stipendio nei partiti, nel sindacato, nell’amministrazione pubblica, nella scuola, ecc.
Possiamo dire che questo è per lo più il quadro delle categorie politiche – si fa per dire – nel dibattito che si trova sui social network. E anche i commenti agli articoli del nostro giornale non fanno eccezione. Tale quadro è uno degli elementi che ci permettono di dire che stiamo assistendo alla nascita di retoriche fasciste – con connotati certamente diversi da quelle di cento anni fa, e non potrebbe essere diversamente – ma con un consenso di massa, reazionario ma di massa.
Disquisire sul passato fascista di La Russa o chiedere patenti di democrazia a Giorgia Meloni serve a poco, se non ci si rende conto che il Paese sta scivolando sempre più nella disgregazione sociale che diventa melanconia fascista, egoismo selvaggio, ignoranza menata come un vanto, e individualismo feroce, paradossalmente ammantato di retorica intorno alla patria e al popolo.