Se questa che sta per aprirsi sarà davvero la legislatura costituente – come noi non ci auguriamo, ma come si augura Marcello Pera, indimenticato ex presidente del Senato per via dell’atteggiamento zelante nei confronti del suo capo, e oggi uomo delle riforme di Giorgia Meloni –, sarà perché qualcuno, fuori dall’area di destra-centro, ci metterà lo zampino. Non solo perché la coalizione di governo non ha raggiunto l’ambita soglia dei due terzi dei seggi in parlamento (che le avrebbe permesso un’autonomia di manovra nell’affossamento della Costituzione), ma anche perché la maggioranza, all’apertura della nuova legislatura, si presenta litigiosa e in difficoltà, tanto che non c’è ancora un accordo sui nomi dei presidenti delle Camere. Lo troveranno, certo, e forse ci beccheremo al Senato il sanbabilino Ignazio La Russa, che menava le mani nelle piazze milanesi tra i Sessanta e i Settanta, mentre alla Camera dovrebbe arrivare il leghista Giorgetti o Molinari. Da una parte, le aspirazioni presidenzialiste-autoritarie; dall’altra, quelle del regionalismo estremo e devastatore.
In ogni caso è chiaro che “sorella Giorgia” sta affrontando non pochi problemi a tenere insieme la sua incerta armata, tra i bisogni senili di Berlusconi e le manie di grandezza del già “capitano” leghista. In più, ha avuto parecchi rifiuti dai nomi sui quali puntava per il super-ministero dell’Economia, così avendone ricavato che Mattarella non sta facendo granché per sostenerla. In realtà, Meloni non ha altri a cui affidarsi, se non appunto il presidente della Repubblica, che dovrà certificare il grado di affidabilità del suo governo, avendo anche il potere di non firmare i decreti di nomina dei ministri: perché il Quirinale non è un luogo della rappresentanza del potere ma quello in cui esso stesso si definisce, il deep-State del Paese, dove si regolano gli orologi. Per questo la leader di Fratelli d’Italia è stata cauta, fino a sparire dai radar: non vuole fare mosse false per poi doversi ritirare per un no del Colle. Non vuole ripetere il “caso Savona”.
Si parte, dunque, in modo contrario a come sbraitavano i “fratelli”: “Il giorno dopo le elezioni gli italiani devono avere un governo”. Manco per niente, sarà difficile, e le compatibilità strettissime: a Meloni non rimarrà – sebbene non sia poco – che la costruzione della destra-destra in Europa e l’attacco all’architettura costituzionale in Italia. Ma se riuscirà a proseguire su questa strada, sarà perché qualcuno dal centro, o dal centrosinistra, le darà una mano. Speriamo di no.
Post-scriptum del 13 ottobre 2022: quello zampino di cui parliamo a proposito delle riforme costituzionali si è materializzato già oggi in occasione della elezione di La Russa all’alta carica. Al leader neofascista sono andati 116 voti: le schede bianche sono state 66, mentre 2 voti sono andati alla senatrice a vita e presidente provvisorio Liliana Segre e al senatore della Lega, Roberto Calderoli. Presenti in Aula 187 senatori, votanti 186, la maggioranza richiesta era di 104. Numerose defezioni da Forza Italia. Auguri a tutti noi.