La spirale non si ferma, siamo nel mezzo di una escalation senza precedenti nel cuore dell’Europa: da una parte si dice di volere riprendersi tutti i territori, compresa la Crimea (annessa alla Russia dal 2014), e per questo si compiono anche attentati, come l’ultimo, che ha distrutto il ponte di Kerch; dall’altra, si risponde con le rappresaglie, tornando a bombardare Kiev e altre città ucraine, facendo strage di civili. È evidente che così si finisce dritti nel precipizio (se non ci si è già). Gli Stati Uniti decidono la consegna di nuove armi, ancora più potenti, a Zelensky. L’Unione europea seguita con il refrain che le prospettive di pace – quando, a quali condizioni, in che modo – sono nelle mani degli ucraini, che devono essere padroni del loro destino.
Ebbene, sarebbe il caso di dire con forza che non possono esserlo. Se l’Ucraina, da alleata, vuole diventare parte integrante dell’Unione, entrando in essa a pieno titolo, dovrebbe concordare con il resto dell’Europa le modalità per arrivare – se non altro – a un cessate il fuoco. Nessuno si aspetta una pace duratura nei prossimi anni: ma qualsiasi tregua, anche temporanea, potrebbe profilarsi solo sulla base di un’accettazione almeno parziale – da parte dell’Ucraina – del fatto compiuto. Zelensky e i suoi dovrebbero comprendere che riprendersi la Crimea, per esempio, è fuori portata. La Russia potrebbe ritirarsi, un giorno, anche da lì – ma a quale prezzo? Dopo quanti altri morti nelle città ucraine?
L’Europa dovrebbe sforzarsi di persuadere i suoi partner – compresi gli Stati Uniti di Biden – che, contro una potenza nucleare come la Russia, si è già dato il massimo in fatto di resistenza, e che è arrivato ora il momento dell’apertura di una trattativa. L’idea di buttare giù Putin, logorandolo con una guerra di lunga durata, è priva di qualsiasi senso logico: prima di tutto, perché la Russia potrebbe ricorrere all’opzione nucleare, in una specie di generale cupio dissolvi, e poi perché – anche se non vi ricorresse e, alla fine, Putin fosse messo in un angolo – non è affatto detto che i suoi successori siano meno nazionalisti e aggressivi di lui. Anzi.
Per quanto concerne “terzogiornale”, ci pare di avere “coperto” questa guerra – giornalisticamente parlando, e certo nei limiti delle nostre possibilità – come andava fatto: il “dossier” presente nel nostro sito esprime al meglio, nella varietà e nella successione degli interventi, quali siano stati i nostri sentimenti e ragionamenti. Consideriamo il regime di Putin – derivante da una difficile, e per certi aspetti tragica, dissoluzione del mondo sovietico – una forma di potere post-totalitario, più in continuità che in rottura con lo stalinismo e lo zarismo. Siamo stati, fin dai primi momenti dell’invasione russa, dalla parte degli ucraini. Ma ciò non significa che siamo rassegnati alla guerra. Le armi, all’inizio, andavano consegnate a Zelensky e ai suoi affinché il loro Paese non fosse cancellato dalla carta geografica, com’era nelle intenzioni originarie del Cremlino; tuttavia, questa posizione sofferta non implica un allineamento con il nazionalismo ucraino che, sotto un certo profilo, è semplicemente uguale e contrario a quello russo.
Il tempo è già scaduto. O l’Unione europea assumerà un’iniziativa di pace, cercando di persuadere gli ucraini ad accettare qualche rinuncia in termini di territori, o la guerra ci trascinerà tutti nell’abisso.