Da quando il presidente Nayib Bukele ha preso in mano la guida del Salvador, nel 2021, con una maggioranza schiacciante, ha fatto del Paese ciò che ha voluto. Secondo il sistema salvadoregno, il controllo del parlamento gli permette, per esempio, di eleggere un nuovo procuratore generale della Repubblica e sostituire i magistrati della Corte suprema, oltre che di modificare la Costituzione. Pochi giorni fa, in un discorso tenuto per la Giornata dell’indipendenza, trasmesso sui canali nazionali e su tutti i social media, Bukele ha espresso la volontà di correre nella prossima tornata elettorale, che si terrà nel 2024. C’è un divieto costituzionale? A Bukele non interessa: nonostante la Costituzione del Paese impedisca la rielezione immediata, la Corte suprema ha dichiarato, in una recente sentenza, che la volontà del popolo sovrano può sovrastare le norme costituzionali, aprendo così di fatto la strada al secondo mandato di Nayib Bukele.
Il successo popolare del presidente viene però da un’illusione: dal suo account Twitter, in cui si è autoproclamato per un determinato periodo di tempo “il dittatore di El Salvador”, o addirittura “il dittatore più cool del mondo”, il presidente-dittatore parla del Salvador come della nazione più sicura dell’America latina, e ripropone l’hashtag #GuerraContraPandillas – ossia guerra contro le gang. Ma questo non ha reso la nazione più sicura, e non ha risolto le questioni chiave.
I gruppi armati presenti sul territorio rappresentano senza dubbio un problema per il Paese, a causa delle guerriglie che tra questi gruppi sorgono, e dell’aumento generalizzato della violenza che implicano. Quando ha assunto il potere, però, Bukele non aveva con questi gruppi un rapporto conflittuale: è stato solo nell’ultimo anno che il presidente ha deciso di dichiarare una vera e propria lotta armata alle gang. Da marzo di quest’anno, il Salvador si trova infatti in uno stato d’emergenza dichiarato dal governo: sono già più di cinquantamila gli arresti di persone ritenute vicine agli ambienti delle bande armate. Ad aprile, su richiesta di Bukele, il Congresso ha riformato il codice penale per punire i membri delle bande fino a quarantacinque anni di carcere. E Villatoro, ministro della Giustizia e della Sicurezza, ha annunciato che presto presenteranno altre proposte di riforma per evitare che escano di prigione.
Sono stati sollevati numerosi interrogativi sulla legittimità di queste azioni: il direttore dell’Osservatorio universitario per i diritti umani (Oudh), Danilo Flores, ha dichiarato che “non tutte le persone che sono state detenute sono membri di bande, ci sono persone innocenti che sono state catturate e la loro libertà personale è stata lesa”: infatti, a oggi, la maggior parte degli arrestati si trova in uno stato di detenzione preventiva, senza processo né condanna, e, secondo quanto riferito, circa sessantatré persone sarebbero morte durante la custodia statale. Secondo il sito web investigativo “The Intercept”, si stima che il 2% degli adulti sia al momento in carcere nel Salvador, che finisce così per aggiudicarsi un triste primato in termini di incarcerazione pro capite, superando gli Stati Uniti.
La guerra contro le pandillas è solo una delle mosse arbitrarie del presidente salvadoregno: Bukele, infatti – oltre alla passione per i social mediante i quali porta avanti una comunicazione innovativa sì, ma in termini controversi –, coltiva il sogno dei bitcoin. Il Salvador è stato il primo Paese al mondo a rendere le criptovalute una moneta pari a quella statale (ne abbiamo già parlato qui), promettendo di risollevare le sorti economiche della piccola nazione. La posizione di Bukele ha generato delle reazioni nel Fondo monetario internazionale, ma questo non lo ha fatto indietreggiare. Il problema è che oggi, dopo quasi un anno dalla scommessa economica salvadoregna, le partecipazioni in bitcoin del governo hanno perso circa il 60% del loro valore presunto; durante il recente crollo del mercato, l’uso del bitcoin tra i salvadoregni è crollato, e nel Paese stanno finendo i contanti.
Si potrebbe pensare che, con queste premesse, nel 2024 l’attuale presidente dovrà cambiare il suo programma e riconquistare l’elettorato, ma non è così. Bukele gode di tassi altissimi di popolarità: secondo un sondaggio di pochi mesi fa, dell’Università Francisco Gavidia, sette persone su dieci ritengono che debba essere rieletto nel 2024. Addirittura, secondo il Ciesca centroamericano (Centro di investigazione e studio su temi politici, sociali e economici del Centroamerica), il 96% degli intervistati ha espresso approvazione nei confronti di Bukele e del suo operato. Questo perché la percezione generale dei cittadini è di un miglioramento della qualità di vita nel Paese, nonostante la crisi economica e sociale, nonostante la militarizzazione delle città e le proroghe dello stato d’emergenza, che vanno ormai avanti da sei mesi. E ciò che più sorprende è come questi numeri rimangano costanti, se non in aumento, nonostante il 2022 non sia stato un anno facile per il governo. Secondo il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, infatti, Luna e Marroquin – membri del gabinetto di Bukele –, nel quadro della lotta alle pandillas, hanno organizzato riunioni segrete tra i capi delle bande incarcerati e i membri delle stesse bande rimasti all’esterno. Il rapporto pubblicato dagli Stati Uniti stabilisce che hanno lavorato per facilitare l’ingresso dei membri dei gruppi armati nelle carceri di massima sicurezza per incontrare segretamente i loro leader. I presunti incontri segreti avrebbero fatto parte degli sforzi del governo del Salvador per negoziare una tregua tra le gang, al fine di ridurre gli omicidi e ricevere sostegno elettorale.
Nonostante tutto, la popolarità del presidente lo porterà forse a rimanere in carica per un altro mandato, e questo per una serie di motivi. Anzitutto c’è la sua abilità comunicativa, che si esprime sia tramite i canali social, soprattutto Twitter, sia tramite i media tradizionali, che sono dalla parte del governo. Ma dell’ascesa del presidente-dittatore è anche complice la debolezza dell’opposizione politica. I due partiti tradizionali, Fmln (Fronte Farabundo Martí per la liberazione mazionale) e Arena, nati dalla guerra civile, stanno perdendo consensi tra la popolazione, a causa dei lunghi anni di corruzione. La volontà di Bukele di correre per le elezioni del 2024, considerata la sua deriva autoritaria, è un indice preoccupante per la democrazia nel Paese, ma – se le cose rimarranno come sono adesso – la sua rielezione non è una chimera.