“Sappiamo che l’indagine non è più contro ignoti e che ci sono indagati”: lo ha detto, in una conferenza stampa tenuta il 28 settembre alla Camera, l’avvocato Arturo Salerni che, con la collega Susanna Zorzi, rappresenta Hasib Omerovic, il 36enne precipitato dalla finestra durante un intervento dei poliziotti nella sua abitazione di via Gerolamo Aleandri, nel quartiere di Primavalle a Roma. Il fatto è avvenuto lo scorso 25 luglio (ne abbiamo già parlato su “terzogiornale”), evidenziando la palese circostanza di un gruppo di agenti non in divisa, tra cui una donna, impegnati in una sorta di spedizione punitiva contro Hasib, non udente, noto nel quartiere: secondo alcuni completamente innocuo, secondo altri abituale molestatore di ragazze, un comportamento amplificato dai commenti social, che avrebbe convinto gli agenti della opportunità di un loro personale intervento.
Un comportamento inaccettabile, di cui erano al corrente i dirigenti del commissariato – poi rimossi, come hanno reso noto fonti della polizia lo scorso 16 settembre, “per consentire una riorganizzazione delle attività del Distretto e per ristabilire un clima adeguato al suo interno”, e non ridestinati ad altre sedi secondo quanto abbiamo appreso –, mentre il questore di Roma pare non abbia mai saputo nulla, anche delle probabili conseguenze di quell’azione, cioè la caduta di Hasib, fatto raccontato dalla sorella che si trovava in casa con lui, affetta da una disabilità cognitiva. Come abbiamo già scritto, siamo felici di sapere che il vertice cittadino dell’ordine pubblico non abbia alcun coinvolgimento, sebbene colpiti dal fatto che un presidio dell’ordine come quello di Primavalle, zona di radicamento criminale, sia così “separato”, dal punto di vista informativo, dalla questura.
Comunque, il punto è che, mentre Hasib è uscito dal coma, pure in condizioni che restano molto gravi, le indagini vanno avanti uscendo dalla nebulosa di un caso contro ignoti. L’avvocato Salerni ha detto di “apprezzare molto il lavoro che sta facendo la procura di Roma”, intervenuta con solerzia. Resta però non spiegato il motivo per cui la famiglia abbia riavuto indietro i vestiti sbagliati, non quelli che Hasib portava al momento dell’accaduto; mentre non è ancora noto l’autore della foto scattata al momento della caduta, data alla polizia da una signora del quartiere, che non ne è tuttavia l’autrice, dalla quale, peraltro, si può vedere come i vestiti indossati siano diversi da quelli riconsegnati.
Detto ciò, sotto il profilo politico della faccenda, si riscontra il grave e incomprensibile silenzio della ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, che non ha risposto alla interrogazione di Riccardo Magi, presente ieri alla conferenza stampa insieme a Carlo Stasolla, portavoce dell’Associazione 21 luglio, che si batte contro le discriminazioni e per la tutela dei minori. Il pool della difesa contava sulle informazioni della ministra per ampliare gli elementi di conoscenza del caso, anche se l’atto parlamentare non si sofferma, ovviamente, sulle responsabilità penali, quanto piuttosto sugli aspetti relativi all’indagine interna promossa per comprendere la dinamica dei fatti.
Comprendiamo, ovviamente, che ci sia la massima riservatezza da parte del Viminale, ma – dalle parole di Magi – essa assomiglierebbe molto alla mancanza di volontà di interloquire con la famiglia e con i suoi legali. In generale, si tratta di un caso scioccante per l’opinione pubblica: l’idea che uomini o donne, agenti di polizia, possano entrare in casa senza un mandato, e senza una buona ragione, è agghiacciante, e determina un senso di sfiducia nei riguardi delle forze dell’ordine che non è positivo per la città né per tutti quegli agenti impegnati ogni giorno a fare con scrupolo il loro lavoro. La ministra dell’Interno dovrebbe avere a cuore questo aspetto, prima di ogni altra compatibilità interna all’apparato.