Le elezioni si sono svolte in una domenica molto importante per la Chiesa cattolica. Interessante che nessun devoto lo abbia notato. Eppure se Dio, patria e famiglia sono i tre cardini vincenti, forse la Chiesa dovrebbe almeno contare per le giaculatorie pre-elettorali. Comunque, della “giornata” coincidente con il nostro appuntamento elettorale si è ricordato ovviamente Francesco: “Oggi, in questa domenica, la Chiesa celebra la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, sul tema ‘Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati’. Rinnoviamo l’impegno per edificare il futuro secondo il disegno di Dio: un futuro in cui ogni persona trovi il suo posto e sia rispettata; in cui i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta possano vivere in pace e con dignità. Perché il Regno di Dio si realizza con loro, senza esclusi. È anche grazie a questi fratelli e sorelle che le comunità possono crescere a livello sociale, economico, culturale e spirituale; e la condivisione di diverse tradizioni arricchisce il Popolo di Dio. Impegniamoci tutti a costruire un futuro più inclusivo e fraterno! I migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati”.
Nulla di nuovo per lui, ma nel tempo del vaneggiato, e vagheggiato, “blocco navale”, interessante per capire chi è chi. E così c’è altro da leggere nell’omelia di quella domenica che pochi hanno notato nella corsa a leggere solo sondaggi, peraltro questa volta azzeccati: “Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli. Questo Pane è per eccellenza il Sacramento dell’amore. È Cristo che si offre e si spezza per noi e ci chiede di fare altrettanto, perché la nostra vita sia frumento macinato e diventi pane che sfama i fratelli. Il ricco del Vangelo viene meno a questo compito; vive nell’opulenza, banchetta abbondantemente senza neanche accorgersi del grido silenzioso del povero Lazzaro, che giace stremato alla sua porta. Solo alla fine della vita, quando il Signore rovescia le sorti, finalmente si accorge di Lazzaro, ma Abramo gli dice: ‘Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso’ (Lc 16,26). Ma l’hai fissato tu: tu stesso. Siamo noi, quando nell’egoismo fissiamo degli abissi. Era stato il ricco a scavare un abisso tra lui e Lazzaro durante la vita terrena e adesso, nella vita eterna, quell’abisso rimane. Perché il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli e le sorelle, ci ‘scaviamo la fossa’ per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo”.
Sono le ultime parole che danno il senso politico e culturale di un brano che, altrimenti, può apparire solo spirituale, di solidarismo mistico. No, la solitudine imprigiona, i muri costruiti per difenderci ci isolano, ci tagliano fuori, le barriere permanenti producono effetti culturali dannosi. Possono sembrare elucubrazioni da illusionismo missionario, che non fanno i conti con la realtà. Perché confondiamo l’emergenza con l’emergenza percepita, la realtà con la percezione della realtà.
La realtà è che siamo nel pieno di un devastante inverno demografico: aumentano i vecchi e spariscono i giovani. Che si fa? Chi pagherà le nostre pensioni? E il sistema sanitario nazionale? Ecco allora che essere “buoni” (il cosiddetto buonismo) è anche pragmatismo (l’amato pragmatismo). Se si confonde la realtà con la percezione della realtà, invece che una salvezza i migranti diventano un incubo, da tenere a bighellonare in piazza, per poi magari rimpatriarli, dopo averli spinti verso mercati illegali, i soli transnazionali. Pensare di uscire da questo imbuto sociale e culturale con il blocco navale è fare mercato delle paure. Comprensibile che molti abbiano paura; opportuno sarebbe dir loro, però, di cosa devono avere paura. L’omologazione individualista ha fatto perdere consapevolezza che la decrescita non vuol dire che saremo di meno, ma che saremo più anziani e meno giovani, presto in modo irreversibile. È la scelta della solitudine elevata a sistema: urbano, nazionale e internazionale. Ma la solitudine è una prigione, umana e culturale. Ha ragione Francesco: meglio guardare in faccia la realtà e diventarne consapevoli.