Depositate il 15 settembre scorso, dalla prima sezione della Corte militare d’appello, le motivazioni della sentenza di assoluzione dell’appuntato scelto Riccardo Casamassima, testimone chiave nel processo sulla morte di Stefano Cucchi, sono destinate a restare un punto fermo del diritto di critica all’interno dell’Arma – o almeno ce lo auguriamo. Il procedimento in questione riguarda l’accusa di vilipendio delle forze armate dello Stato, aggravato e continuato, e diffamazione militare aggravata e continuata: roba pesante, nata dalla scelta di Riccardo Casamassima (nel 2015) di raccontare, sul proprio profilo Facebook, le difficoltà vissute in seguito alla sua testimonianza, che ha portato alle condanne a tredici anni per omicidio preterintenzionale nei confronti dei suoi colleghi, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, per il pestaggio di Stefano Cucchi.
Casamassima, che nel 2010 si occupava di spaccio di stupefacenti e furti, cioè era un agente operativo, si ritrovò a svolgere tutt’altre mansioni presso la Scuola allievi dei carabinieri: una situazione per lui umiliante. Prima ancora di essere destinato alla Scuola, avrebbe dovuto andare a prestare servizio al comando di Labico (nei pressi di Roma): incontrò dunque il comandante per introdursi, ma quello gli disse dritto dritto: “Chi te lo ha fatto fare di testimoniare nel caso Cucchi?”. Casamassima capì che per lui “non era aria” (verbale udienza del 21 aprile 2021), e rinunciò all’incarico.
È chiaro che si tratta di una vicenda nella quale hanno un peso il carattere e le attitudini del protagonista, ma proprio per stare alla larga da una sfera emozionale le motivazioni sono fondamentali, visto che lì si stabilisce come l’uso dei social media, da parte di Casamassima, forse abbondante, sia stato frutto di una condizione psicologica nella quale il carabiniere si ritrovò dopo quell’incontro, peraltro noto alle cronache, tra l’ex ministra Trenta, l’allora comandante dei carabinieri Nistri e la sorella di Stefano Cucchi, Ilaria: un incontro, avvenuto nell’aprile del 2019, con il fine di ristabilire armonia tra la famiglia del giovane geometra e l’Arma, patrocinato dalla ministra Trenta.
Ebbene, in quella occasione, il comandante Nistri si lasciò andare a diverse considerazioni sul comportamento di Casamassima, circostanza riferita da Ilaria Cucchi all’interessato, il quale – rivelano i giudici – si convinse del fatto di essere stato preso di mira: “Benché nelle testimonianze di Trenta e di Nistri non emerse che in quell’incontro si sia tentato di colpire l’imputato, il fatto che in quell’importante contesto il comandante abbia parlato anche di Casamassima, sui cui pendevano provvedimenti disciplinari, è stato interpretato dall’imputato, anche per la concomitanza dei tempi e dei temi, come un tentativo ad alto livello diretto a screditarlo e minare la sua credibilità. Questo avvalora ulteriormente la lettura della sua rappresentazione soggettiva che conduce alla assoluzione” – scrivono i giudici militari.
Oltre a quella circostanza particolare, la questione dell’atteggiamento di Casamassima verte attorno all’uso di due sostantivi, “massacro” e “sistema”, in uno dei suoi post. Il primo, in riferimento al trattamento da lui subito nell’Arma, lui stesso ha precisato che “non ce l’aveva affatto con l’Arma dove ha trovato superiori che hanno cercato di fare il massimo, comprendendo la situazione grave che stavamo vivendo di metterci in difficoltà, quindi non mi sento di dire l’Arma. Magari l’avevo scritto pure in qualche post, ma non era questo il mio pensiero, perché l’Arma è fatta di centodiecimila militari”. Secondo i giudici, quel termine esprimeva il “suo stato d’animo alterato”, non l’intenzione di offendere l’istituzione. Casamassima ha poi scritto che “esiste un sistema, da Serena Mollicone a Cucchi e a Vannini, con cui si intimidiscono le persone, per farle tacere, per non denunciare”: un termine in effetti caratterizzante che, tuttavia, è stato usato da un magistrato che ha descritto quanto stava succedendo all’interno dell’Arma. Motivazioni che dunque liberano definitivamente Casamassima da ogni ombra, e aprono tante riflessioni nei giorni in cui la lotta di Ilaria trova il riconoscimento di un seggio in Senato. Seppure in un contesto amaro, lei resta un punto di riferimento per tutte le coscienze democratiche.