L’insistente rassicurazione di Giorgia Meloni circa le sue intenzioni di non modificare la legge sull’interruzione di gravidanza nasconde, ovviamente, l’obiettivo di frantumarla. Sembra di sentirla: “Che devo fa’ pe’ convinceve?”. Non intendiamo sostenere che abbia una personalità multipla, tutt’altro. Il punto è che il disegno della destra va decisamente in un’altra direzione: e possiamo dirlo con certezza, perché è già attuato dalle loro giunte regionali, Marche e Piemonte in particolare, dove l’accesso al servizio viene reso difficile ed è impedito l’uso della pillola abortiva Rsu 486 (sdoganata con fatica in Italia, mentre l’Europa ne fa uso da tempo), magari imponendo il ricovero per la sua somministrazione, benché non previsto dalle linee guida del ministero della Salute. Oppure infestando le strutture con i volontari pro-life, sovvenzionati da soldi pubblici, che si aggirano nei locali per scoraggiare le disgraziate di turno.
E poi la semplificazione del messaggio meloniano è solo il frutto di una mastodontica manipolazione, che consiste nel non dire e nel deformare le posizioni altrui: lei dissimula, gridando “non toccherò la 194!”, ma attribuendo ai sostenitori della legge l’intenzione di volere fare abortire ogni donna, finanche al nono mese! Ridicolizzando e svilendo a caricatura ogni posizione che difende una storica legge, che ha funzionato al punto da portare l’Italia ad avere un tasso di interruzioni volontarie di gravidanza tra i più bassi al mondo.
Lo confermano, del resto, i dati dell’ultima Relazione al parlamento sull’attuazione della legge 194/78, in cui si legge che gli aborti, nel nostro Paese, continuano a calare. Nel 2020 le interruzioni di gravidanza sono state poco più di 66mila, il 9,3% in meno rispetto al 2019. Giorgia questo non lo dice, naturalmente. Non dice neanche che quasi due medici su tre sono obiettori di coscienza, il 64,6% si rifiuta per motivi religiosi o morali di praticare aborti (erano il 67% nel 2019). L’obiezione di coscienza riguarda anche gli anestesisti (per il 44,6% del totale) e il personale non medico (36,2%). Cifre che non possono non incidere sull’accesso delle donne italiane al servizio garantito dalla 194: secondo una ricerca presentata a maggio alla Camera dall’Associazione Luca Coscioni, su oltre 180 ospedali e consultori, che dovrebbero garantire l’interruzione volontaria di gravidanza, trentuno strutture hanno il 100% di obiettori di coscienza tra ginecologi, anestesisti, infermieri e assistenti sanitari ausiliari, cinquanta arrivano a percentuali superiori al 90%, mentre si sale a ottanta contando quelle con un tasso di obiezione superiore all’80%. In quasi metà delle strutture esaminate, insomma, abortire è pressoché impossibile: ma Meloni, che dice di non volere manomettere la legge, tutto questo non lo dice, preferisce il terreno mellifluo della manipolazione.
Ha ragione Maddalena Oliva che sul “Fatto quotidiano” ha analizzato la strategia comunicativa della leader di Fratelli d’Italia, spiegando come le sue parole coprano una realtà fatta di politiche ostruzionistiche nei confronti della legge, con l’introduzione dell’idea di uno Stato etico, che orienta le scelte più che garantire un diritto, colpendo a morte il cuore stesso della legge: cioè quello dell’autodeterminazione della donna. Che non si trova più a decidere secondo il suo animo, essendo condizionata nei modi e nelle forme in cui affrontare il suo percorso, o trovando già una strada segnata da altri.
Del resto Eugenia Roccella, candidata di Fratelli d’Italia, già parlamentare ed esponente di punta del fronte conservatore, va dicendo che l’aborto non è un diritto, cosa che in bocca alla sua leader farebbe ben altro effetto. In un certo senso, Roccella ha ragione: la legge non parla di diritto, a suo tempo si scelse proprio il concetto di autodeterminazione per evitare di scivolare verso il piano perverso del diritto del nascituro e per affermare la libertà assoluta della donna di scegliere.
Il concetto dell’autodeterminazione è di grande potenza, perché riguarda la capacità della donna di “far centro su di sé” e sulla sua sessualità femminile, più che sulla maternità. Poi questa carica innovatrice si è persa in un discorso pubblico che ha preferito considerare solo la drammaticità dell’aborto, sempre e comunque. È chiaro che lo è quando non si ha scelta, superfluo insistere su questo aspetto. Il punto è che quella libertà assoluta della donna, introdotta da una legge innovativa come poche, rinvia all’idea che è lei, il suo corpo – la sua sessualità e il suo mondo – a determinare il senso di una vita: l’aborto cioè non è sempre una “maternità mancata”, dunque una tragedia, ma talvolta è proprio la decisione di non essere madre, che non rinvia a nessun dramma esistenziale, essendo quella decisione portatrice di una scelta che dà vita oppure no. È in questa piega moralistica (e pietistica) che si è annidato lo strisciante boicottaggio di una legge pericolosissima per chi intenda restaurare un certo ordine sociale, con le sue relative e definite gerarchie. Come appunto vuole Giorgia Meloni.