Il disastro che il 15 settembre scorso ha colpito le Marche, lo sappiamo, è colpa del dissesto del territorio orchestrato da amministratori e imprenditori voraci. Totalmente indifferenti alla salvaguardia del bene comune. Il Consiglio nazionale delle ricerche-Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Cnr-Irpi), nella sua pagina Facebook, mostra foto raccapriccianti di questa evidenza: a Cantiano, per esempio, la piena del Fiume Burano ha fatto tracimare il corso d’acqua facendogli superando il muro che l’uomo ha costruito per deviarlo su un nuovo corso, riappropriandosi del suo corso naturale.
Per rispettare gli assetti del territorio, la vecchia legge Serpieri, cioè – udite, udite – un regio decreto del 1923, stabilì, con gli articoli 1 e 17, che “sono sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme di cui agli articoli 7, 8 e 9, possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque”, e più avanti: “I boschi, che per la loro speciale ubicazione, difendono terreni o fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento di sassi, dal sorrenamento o dalla furia dei venti, e quelli ritenuti utili per le condizioni igieniche locali, possono, su richiesta delle Province, dei Comuni o di altri enti e privati interessati, essere sottoposti a limitazioni nella loro utilizzazione…”
Questa legge “è stato il faro che ha illuminato generazioni di forestali” – ci spiega Ezio Di Cintio, ex Comandante di Stazione del Corpo forestale dello Stato, oggi in pensione –, “nel dopoguerra fu compiuta una grande restaurazione delle montagne, denudate e sottoposte a degrado e dissesto idrogeologico, fu una colossale opera di messa in sicurezza del territorio della nostra penisola realizzata dal ministero dell’Agricoltura e delle Foreste attraverso di noi, cioè il Corpo forestale dello Stato”. Negli anni successivi, si verificarono due eventi che colpirono drammaticamente quella grande opera di salvaguardia dei boschi, cioè lo spopolamento delle aree interne e il passaggio alle Regioni delle competenze in materia ambientale, soprattutto sul vincolo idrogeologico. Inoltre, gradualmente, il Corpo forestale ha perso diverse competenze: un insieme di fattori che diedero fatalmente spazio a una regressione e all’incuria di quanto era stato fatto fin lì. “Poi arrivò il governo di Matteo Renzi e cosa fece? Invece di riordinare e ridare competenze tecniche al Corpo forestale” – spiega con amarezza Di Cintio – “si arrivò addirittura alla sua soppressione, frantumandolo in varie amministrazioni, nella gran parte militarizzato nell’Arma dei carabinieri. Fu il colpo di grazia”.
Si dirà che anche prima della soppressione della forestale accadevano eventi meteo-climatici estremi, causa spesso di tragedie, come l’alluvione a Firenze nel 1966; o che il cambiamento climatico ha acuito frequenza e intensità delle precipitazioni. “Tutto vero”, prosegue l’ex guardia forestale, “il problema sono le risposte, non solo inadeguate ma sbagliatissime: gli organi tecnici deputati alla mitigazione del rischio idraulico e alla difesa del suolo sono stati ristrutturati in modo non più funzionale all’assolvimento dei compiti preposti: penso agli uffici del Genio civile, oggi organo periferico regionale su base provinciale, che dovrebbe assicurare tutte le funzioni riguardanti l’esecuzione delle opere pubbliche, ma in alcune Regioni è stato chiuso e le sue funzioni sono state assorbite da altri enti, come nel caso della Sardegna e della Lombardia, mentre solo in alcune Regioni funzionano gli uffici di progettazione ed esecuzione relativi alle sistemazioni idrauliche. E ancora, al nostro Corpo forestale che oggi ha compiti di polizia generale, con la conseguente rarefazione delle attività di sistemazione idraulico-forestale e di presidio dei territori montani. Fenomeni gravitativi, dilavamenti e alluvioni si sono sempre verificati nel nostro Paese, la differenza nel panorama attuale è che la maggioranza del territorio italiano è sprovvista di amministrazioni impegnate seriamente nella cura e nella manutenzione del territorio, ossia in azioni di prevenzione, al fine di attenuarne la pericolosità. Non si possono risolvere problemi complessi come il rischio geo-idrologico e idraulico investendo esclusivamente sulla previsione e il ripristino della situazione esistente prima dell’impatto distruttivo, che sono appannaggio della Protezione civile. Insisto: una riforma avveduta e razionale avrebbe riorganizzato il Corpo forestale riassegnando le storiche competenze tecniche, che comprendevano anche la difesa del suolo e la regolazione dei corsi d’acqua montani e collinari, attraverso le operazioni fondamentali di idronomia montana. La politica, le istituzioni hanno fatto presto a dimenticare i forestali, e tutto ciò che abbiamo fatto per mettere l’Italia in sicurezza. Cercano continuamente pezze per tappare buchi, rispetto agli incendi boschivi, alla gestione dei boschi, al controllo del vincolo idrogeologico, ma ormai le pezze non bastano più. Si rende conto che c’è chi propone solo di piantare qualche milione di alberi nelle città metropolitane, senza una precisa strategia forestale, non sapendo neanche che in Italia sono stati abbandonati i vivai del disciolto Corpo forestale, dove erano sempre disponibili piante per la loro messa a dimora? Io lo trovo scandaloso”.
Ezio Di Cintio, membro della segreteria nazionale della Federazione per la rinascita della forestale, è visibilmente angosciato per tutto ciò che ha visto accadere nelle Marche, e non solo perché prova, come tutti noi, pietà per le vittime: è che i suoi occhi vedono esattamente quello che doveva essere fatto e che è stato scelto di non fare. Magari da chi adesso piange quei morti.