Dal Viminale si fa sapere che è stata adottata la linea dura. Indagine interna rapida e trasparente, massima collaborazione con la magistratura: ci mancherebbe pure che si volesse eccepire qualche cavillo. Perché la storia si presenta proprio male. Quattro poliziotti in borghese – particolare non irrilevante –, tra loro una donna, lo scorso 25 luglio, entrano in casa del trentaseienne sordomuto Hasib Omerovic, accusato da voci di quartiere di molestare ragazzine; i quattro (in pratica un esercito) dicono che volevano chiedergli i documenti, ma non si limitano affatto a quello: cominciano a rovistare e lo picchiano con un bastone, poi lui vola giù dalla finestra. Viene soccorso da una volante e portato in autoambulanza all’ospedale Gemelli, dov’è tuttora in gravissime condizioni. Dopo un silenzio omertoso, fino alla denuncia dei genitori, nei primi giorni di agosto, bisogna spettare il 12 settembre perché la notizia diventi pubblica, dopo una conferenza stampa alla Camera del deputato radicale Riccardo Magi, dei familiari e di loro due legali, Arturo Salerni e Susanna Zorzi.
La ricostruzione di quei minuti è avvenuta sulla base della testimonianza della sorella di Hasib, disabile mentale, che ha comunque saputo ricostruire la scena svoltasi tutta in casa, lontano da telecamere. La procura sta valutando la posizione dei quattro, ipotesi di tentato omicidio, e di altrettanti colleghi intervenuti nella storiaccia, alcuni probabilmente solo per soccorrere l’uomo, per altri si profila il reato di falso.
Ovvio che aspetteremo gli esiti dell’indagine, come suole dirsi. Ma intanto qualche ragionamento sulle forze dell’ordine si può fare. Innanzitutto: presentarsi in casa senza divisa è inaccettabile, a meno che l’agente non fiuti un pericolo e decida un blitz. L’atteggiamento dei quattro li fa sembrare più dei bravi di manzoniana memoria che funzionari di uno Stato democratico. È vero che il “Testo unico di pubblica sicurezza” non vieta in assoluto perquisizioni senza un mandato: ma solo se, appunto, si registra un pericolo immediato, se si ha sentore che un carico d’armi o di droga stia per vaporizzarsi, se si sentono grida, se si percepisce qualcosa di gravemente sospetto. Non è affatto questo il caso. Anche se fossero fondate le voci sui suoi comportamenti nei confronti delle ragazze del quartiere, in realtà Hasib non aveva mai messo in pericolo nessuno. Possibile che non si sospetti l’accanimento di qualche anima arrabbiata nei confronti di un disabile di etnia rom? Ci vuole molto a ipotizzarlo? Per giusto scrupolo, nei confronti di eventuali vittime, sarebbe bastata una convocazione, piuttosto che acconciare una specie di spedizione punitiva, come appare. Sperando che non sia così.
Poi c’è quella stranezza della relazione di servizio, che ha sostituito l’usuale verbale, cioè il tipico atto delle indagini di polizia giudiziaria, previsto nei suoi dettagli dalle norme. Il verbale fa fede fino a prova contraria: dall’89 esiste anche in forma di Voc, cioè “Verbale operazioni compiute”, che consente di descrivere minuziosamente quanto è avvenuto anche quando non sia un atto tipico della polizia giudiziaria (come sono l’assunzione di testimonianza, la perquisizione, il sequestro e così via). Insomma, il verbale è l’atto che ci si aspetta dopo una vicenda simile. Ma nel caso di Hasib Omerovic, volato giù da nove metri e finito in coma, viene stesa una semplice relazione, documento più leggero, soprattutto adeguato a circostanze casuali e non ad atti specifici.
L’anomalia non è in capo solo ai nostri quattro agenti in borghese, ma allo stesso commissariato del quartiere romano di Primavalle, dov’è avvenuto il fatto. E che pare abbia taciuto la storia al questore, Mario Della Cioppa: il che un po’ solleva, perché non c’è responsabilità del vertice della sicurezza capitolina; ma ci interroga la circostanza che in uno dei commissariati di punta della città, in una zona ad alta densità criminale e di insediamento mafioso, possa rimanere riservato un fatto così grave.
Probabilmente vedremo molto rapidamente, visto il clamore dell’odioso e tragico episodio, quale sarà l’esito dell’inchiesta. Intanto sarebbe il caso che il supporto psicologico per il personale delle forze dell’ordine, invocato recentemente dal sottosegretario agli Interni, il leghista Molteni, sia preso in considerazione in tutta la sua potenzialità. Molteni lo ritiene necessario per combattere lo stress per le condizioni di lavoro e i turni massacranti, e per intercettare il disagio che ha portato a un aumento dei casi di suicidio (di cui abbiamo parlato qui); una mozione approvata, nel dicembre del 2019, dalla Camera dei deputati, con il parere favorevole del governo, e dunque degli apparati, primo firmatario Roberto Rossini, chiedeva iniziative specifiche per sostenere psicologicamente il personale militare. Ebbene sì, forse sarebbe utile lo strumento psicologico, anche per sondare quei (pochi) poliziotti, uomini e donne, non degni dalla divisa che indossano.