Tra un braccio di ferro su Peppa Pig in versione arcobaleno, e un’esibizione in favore di telecamere con gli atleti azzurri campioni del mondo della pallavolo, partiti e governo sono riusciti a sciogliere il nodo del superbonus che teneva in sospeso il destino del decreto “aiuti bis”. Si tratta di diciassette miliardi di sollievo – insufficienti, è atteso a giorni un “decreto ter” – concessi all’economia italiana in grande affanno a causa del boom dei costi energetici che pompa il tasso d’inflazione, per l’avvio di politiche monetarie restrittive da parte di Fed e Bce, per la salita dei costi delle materie prime, oltre che per il temuto razionamento invernale delle forniture energetiche.
Il punto di caduta è stato trovato su un ridimensionamento delle restrizioni sulla cedibilità dei crediti, limitando la “responsabilità in solido” ai casi di dolo o colpa grave. La nuova versione della norma si applica solo ai crediti per i quali sono stati acquisiti i visti di conformità, le asseverazioni e le attestazioni previste dalla legge. E prevede che alle imprese – le quali hanno nel loro cassetto fiscale vecchi crediti, precedenti al decreto dello scorso novembre che ha introdotto la stretta anti-frode – sia consentito di asseverare questi crediti ex post per poterli cedere usufruendo della riduzione di responsabilità.
L’intervento restrittivo – rivendicato in più occasioni da Mario Draghi come necessario, appunto, al fine di contrastare le frodi – aveva portato di fatto migliaia di imprese sull’orlo del fallimento, portando quindi tutte le forze di maggioranza e opposizione a convergere sull’emendamento elaborato dal ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef). Proprio sulle frodi, peraltro, le prese di posizione reiterate del presidente del Consiglio, e del suo fido ministro Daniele Franco, erano apparse a volte più politiche che tecniche: per via della polemica aspra con il precedente governo Conte 2, e in particolare con il Movimento 5 Stelle, che del superbonus aveva fatto una bandiera. Posizioni più politiche che tecniche, specie dopo che, in sede di esame parlamentare della questione, nell’audizione del direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, era stato messo agli atti che le truffe erano state alimentate più da altri bonus edilizi che dal superbonus. In una tabella, Ruffini aveva ricostruito il fatto che, tra i crediti fiscali bloccati, ripartiti in base al tipo di bonus utilizzato per compiere le frodi, il primato spettasse al bonus facciate (46%), mentre il superbonus risultasse impiegato solo nel 3% dei casi. Frodi a parte, qualche osservatore (ne avevamo parlato qui) aveva sollevato dubbi sulle vere motivazioni dell’ostilità governativa alla libera circolazione dei crediti, perché un titolo di credito garantito dallo Stato e liberamente cedibile, senza limiti, assomiglia pericolosamente a una sorta di modalità alternativa per stampare moneta, potere sovrano cui l’Italia, com’è noto, ha rinunciato contribuendo alla nascita dell’euro.
Forse anche per responsabilità di un sistema dell’informazione appesantito dalla sua connaturata tendenza alla partigianeria, il dibattito politico in Italia ricorda sempre più spesso il capolavoro del regista giapponese Akira Kurosawa, Rashomon. Una storia nella quale lo stesso episodio – l’uccisione di un samurai – viene raccontato, con dovizia di particolari e lodevole impegno creativo, in modo differente dai diversi testimoni della vicenda. Il caso del decreto “aiuti bis” non fa eccezione, e chi ha avuto la ventura di seguire la comunicazione elettorale dei principali partiti, e in questi giorni anche i lavori parlamentari sul provvedimento, ha assistito a un triste rimpallo di accuse e rivendicazioni su meriti (per la soluzione trovata) e colpe (per il rallentamento nella conversione del decreto legge). I 5 Stelle, la Lega e il Pd si sono distinti particolarmente in questa gara; ma è difficile negare che l’insistenza di Giuseppe Conte e dei suoi sul rifiuto di ritirare gli emendamenti sul superbonus abbia tenuto al centro dell’attenzione il tema e spinto tutti gli altri attori, in particolare il Mef, a lavorare seriamente alla ricerca di una mediazione.
Per quel che vale, a giochi fatti, più di un osservatore, nei palazzi della politica, fa notare l’aspetto grottesco di tutta questa vicenda: il mancato compromesso sul superbonus, insieme con i temi sociali del salario minimo e del caro-bollette, è uno dei punti sui quali si è arenato il dialogo fra 5 Stelle e palazzo Chigi a luglio. All’epoca, tuttavia, tante volontà si sono venute incontro: compresa quella di Draghi di mettere fine a un’esperienza sempre più difficile da gestire con l’avvicinarsi della scadenza elettorale, e che soprattutto non è andata come si attendeva il “nonno al servizio delle istituzioni”: parole sue, prima del passaggio convulso – e per lui deludente – dell’elezione del presidente della Repubblica.