L’appello sottoscritto da quaranta deputati ed europarlamentari della Spd è dello scorso 26 agosto. La cosa era nell’aria da tempo. I malumori di una parte significativa della socialdemocrazia tedesca erano ben noti: si sono ripresentati in maniera clamorosa subito dopo l’annuncio, da parte di Olaf Scholz, del rifinanziamento delle forniture di armi all’Ucraina il 19 agosto, nel corso del vertice di Toronto. È vero che l’appello non è rivolto direttamente al cancelliere, la cui posizione è già abbastanza problematica e vacillante, ma pensato piuttosto in vista della prossima “Giornata contro la guerra”, che si terrà il primo settembre, come ha dichiarato Jan Dieren, uno dei primi firmatari, deputato della Spd, alla radio Deutschlandfunk.
Il testo dell’appello esordisce ribadendo che “la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, che viola il diritto internazionale e non può essere in alcun modo giustificata, dura ormai da più di mezzo anno e ha causato sofferenze e distruzioni incommensurabili”. E sottolinea il diritto dell’Ucraina all’autodifesa, pur mettendo in chiaro che “la Nato o i singoli Stati occidentali non devono diventare parte in causa, perché questo significherebbe inevitabilmente l’espansione della guerra in una terza guerra mondiale”. L’appello prosegue affermando che “ogni consegna di armi deve essere attentamente soppesata e considerata valutando accuratamente dove si situi la ‘linea rossa’ che potrebbe essere percepita come un’entrata in guerra e provocare reazioni corrispondenti. L’istituzione di zone di interdizione al volo, la consegna di carri armati o di jet da combattimento oltrepasserebbero certamente questa linea”.
Secondo i firmatari, la guerra “non conoscerà vincitori militari”, ma il suo proseguimento porterà solo “più morti e distruzione”. Viene perciò invocato un cessate il fuoco il prima possibile, quale punto di partenza per negoziati di pace completi, che aprano “il tempo della diplomazia”. È necessario prendere atto di una realtà “che non ci piace” e trovare un modus vivendi con il governo russo per evitare un’ulteriore escalation della guerra. La Russia e l’Ucraina dovrebbero quindi concludere un cessate il fuoco e intraprendere trattative di pace. Non è chiaro, nel testo, chi dovrebbe intraprendere la mediazione tra i due belligeranti; si parla della Cina quale potenza di riferimento per portare i due contendenti al tavolo dei negoziati che dovrebbero preludere alla chiusura del conflitto. Jan Dieren, nell’intervista rilasciata alla radio, ha voluto chiarire che l’obiettivo dell’appello non è indebolire l’Ucraina, ma aumentare la pressione sulla Russia per giungere a un negoziato.
Le reazioni alla pubblicazione e alla circolazione del testo sono state molto nervose, in alcuni casi scomposte. I rappresentanti della Cdu e dei verdi hanno immediatamente espresso il loro disappunto. L’esperto di politica estera della Cdu, Norbert Röttgen, ha definito “illusoria” la richiesta di negoziati con il presidente russo Putin, e ha liquidato in poche frasi l’appello twitttando: “Mentre la Spd chiede negoziati di pace, Putin continua a mobilitare soldati e materiali per spazzare via l’Ucraina”. Sara Nanni, portavoce dei Grünen per le politiche della difesa, ha accusato gli estensori del testo di “cecità” e di ignorare la realtà. Tagliente la risposta data dall’ex ambasciatore ucraino in Germania, Andrij Melnyk, liquidato recentemente per alcune uscite eccessivamente oltranziste, che ha ironizzato su “i compagni della Spd”, chiedendosi se “quel partito si possa ancora salvare”, giudicando l’appello “semplicemente disgustoso”. Rivolgendosi agli autori, Melnyk ha scritto: “La vostra cinica proposta di un modus vivendi con la Russia, cellula del terrore, significa tradire l’Ucraina e sacrificare milioni di ucraini”.
Tornano i discorsi sul pacifismo come tradimento, “quinta colonna”, sulle responsabilità dei pacifisti negli anni Trenta, che non ostacolarono l’ascesa del nazismo. Scholz, per parte sua, si è limitato a tacciare l’appello di “intempestività” e di “cinismo”; ma è chiaro che all’interno del partito c’è molta maretta, e da parte di alcuni firmatari gli sono state rinfacciate le sue stesse posizioni di qualche mese fa, quando temporeggiava sulle forniture di armamento pesante agli ucraini. Colpisce, in ogni caso, come i vertici dei verdi si stiano mostrando più convinti della necessità della guerra di quanto non lo sia la base della Spd, e alcune uscite recenti di Annalena Baerbock in questo senso hanno suscitato non poche perplessità.
Uno dei firmatari dell’appello di maggior rilievo politico, Thomas Westphal, sindaco di Dortmund, città storicamente cuore della Spd, dopo avere sdegnosamente rifiutato l’etichetta di Putinversteher – “non sono uno che capisce Putin” –, ha affermato: “Le reazioni sono le stesse della primavera scorsa”, alludendo alla precedente lettera dei pacifisti di fine aprile, pubblicata sulla rivista “Emma”. La lettera, che in questo caso era indirizzata direttamente a Scholz e firmata da politici, intellettuali e artisti molto noti – tra cui la femminista Alice Schwarzer, il regista e saggista Alexander Kluge, e lo stesso Westphal –, metteva in guardia dalla possibilità di scatenare una terza guerra mondiale, e chiedeva di evitare ulteriori forniture di armi all’Ucraina. La lettera aperta aveva conosciuto un immediato riscontro mediatico, e aveva raggiunto 72.000 sottoscrittori solo nella prima giornata dopo la sua pubblicazione, per giungere poi a 300.000 firme, nelle sue successive riproposizioni, di cui l’ultima a fine giugno. La risposta del cancelliere era stata anche in questo caso stizzita, e si era scatenato un coro di critiche pesantissime agli estensori. La lettera prima, e l’appello ora, non sono casi isolati: anche altri politici di rilievo – come il primo ministro della Sassonia Michael Kretschmer (Cdu) e Sara Wagenknecht (Linke) – hanno ripetutamente invocato l’apertura di negoziati nella guerra in Ucraina.
L’idea nuova che anima l’appello è, in ogni caso, quella di una Germania che si muova su di una prospettiva politica diversa da quella attuale. Si dovrebbe invece tentare una nuova “politica globale di distensione”, propiziando un dopo Putin, che certo ancora non si intravede. Il testo infatti ammette che “un miglioramento sostanziale delle relazioni con Mosca è possibile solo nell’era successiva a quella del governante in carica, Vladimir Putin”. Nostalgia di una Ostpolitik ormai tramontata, o voce di una inquietudine rispetto al conflitto che si sta facendo sempre più forte nel Paese, soprattutto nei Länder dell’Est? Difficile dirlo, com’è difficile sottrarsi alla fascinazione della citazione che chiude l’appello: “Willy Brandt aveva ragione: la pace non è tutto, ma senza la pace non si può fare nulla”.