Enrico Letta ha giustificato la scelta della ennesima presentazione alle elezioni di Pier Ferdinando Casini, nel collegio blindato di Bologna, con l’argomento che l’ex presidente della Camera avrebbe le qualità per difendere la Costituzione dai probabili (veramente lui ha detto “possibili”) tentativi di un suo sconvolgimento da parte delle destre nel prossimo parlamento. Peccato che sia la persona meno indicata allo scopo. Casini, infatti, prese parte alla riforma costituzionale voluta da Berlusconi e dai suoi tirapiedi, dando indicazione per il “sì”, con l’Unione di centro, al referendum del 2006, in cui prevalse invece il “no”. Evidentemente scontento – dopo mille giravolte, diventato un supporter di Renzi – lo troviamo nel 2016 schierato a favore della pasticciata, ancor più della precedente, riforma voluta dal genietto politico di Rignano sull’Arno. Entrambe prevedevano un “premierato forte”, cioè l’elezione diretta del capo del governo.
Sarebbe questa la linea di compromesso decisa da Letta, nel caso dovesse andare avanti la proposta meloniana sul presidenzialismo? Ripiegare sulla elezione diretta del premier per non doversi beccare quella del presidente della Repubblica? Il segretario del Partito democratico dovrebbe essere chiaro in proposito, e dovrebbe assumere degli impegni prima delle elezioni. Il Pd è per il “premierato forte” come male minore? O una soluzione del genere a Letta piacerebbe proprio, magari con l’introduzione di una legge elettorale a doppio turno? E questa, eventualmente, come dovrebbe essere? Sarebbe un doppio turno riguardante solo l’elezione del premier, o un doppio turno nei collegi, ossia anche per l’elezione dei parlamentari?
Il silenzio di Letta sulla questione autorizza qualsiasi cattivo pensiero: anche quello secondo cui Casini sarebbe stato ripresentato solo per via di una vecchia solidarietà democristiana. In fin dei conti, il centrista – famoso per i suoi spostamenti a destra o un po’ meno a destra, a seconda delle circostanze e delle opportunità, degno compare di Mastella – fu in origine il portaborse di Forlani, l’indimenticabile protagonista della stagione del Caf (Craxi, Andreotti e appunto Forlani), e in seguito (con la bava alla bocca) dei processi di Tangentopoli. All’incirca negli stessi anni Letta, più giovane, faceva il suo apprendistato politico come portaborse di qualcun altro. Era così che andavano le cose nella vecchia Dc. Anche Renzi, in fondo, si è fatto le ossa con Lapo Pistelli, prima di condannarlo a una specie di morte politica. Ora Letta – lo sappiamo – non è un feroce pescecane di partito, ed è possibile che abbia serbato rapporti amichevoli con Casini, o che addirittura debba sdebitarsi con lui di qualcosa. Nella confusione generale in cui versano la presentazione alle elezioni del Pd e la formazione delle sue liste, tutto ci può stare: si è autorizzati a qualsiasi ipotesi o sospetto.
Di una cosa tuttavia siamo certi. Letta dovrà rendere conto all’opinione democratica del Paese, prima ancora che alla direzione del suo partito, delle scelte poco chiare o insensate che sta facendo.