10 agosto 2022. La buvette di Montecitorio è quasi deserta, aria di smobilitazione estiva. Il vecchio barman che ti raccontava gustosi aneddoti e primizie spigolate tra un caffè e un Martini, non c’è più da tempo, rimpiazzato da un giovanotto azzimato di una ditta di catering. Qui, dove tante volte, lungo oltre trent’anni, ci siamo incontrati, ritrovo G.V., parlamentare di lungo corso, che a questo giro ha annunciato di non candidarsi, dopo avere abbandonato il partito di cui è stato attivo militante sul fronte della giustizia e del lavoro. Perché, gli chiedo, questa rinuncia?
C’è che io non sono cambiato, lo sai, ma intorno a noi tutto è mutato e non ho più riferimenti nella politica di oggi. Tutto qui. È nell’ordine delle cose. Ma lasciamo stare, per favore, le storie personali, conosci già tutto di me. Oggi di cosa parliamo?
Di questa campagna elettorale, per cominciare.
Diciamo che sul nostro versante poteva partire meglio. Prima la dichiarazione che “vinceremo”: slogan con risonanze nefaste, in Italia, e che oltretutto, come si suole dire, porta sfiga; poi la faccenda della cipria… Non si pretendeva dagli addetti alla comunicazione una campagna all’altezza della “bestia”, ma direi che qualcosa di meglio, vista la situazione, si poteva forse trovare, non credi? E poi questo giocare sempre di rimessa, a colpi di Twitter, lo stare dentro gli schemi che t’impongono gli altri: nulla di buono, all’orizzonte.
La situazione, dici: quale?
Ricapitoliamo un po’, se non ti spiace perder tempo con queste mie prediche ripetitive, lamentazioni a ruota libera del figlio di un altro lontano secolo. In questi ultimi due anni, abbiamo avuto circa un milione e mezzo di morti, no? Da febbraio è in corso una guerra devastante in Europa, che conta già decine di migliaia di uccisi. E il rischio nucleare e la crisi ambientale. Mi sembrerebbe un quadro preoccupante, tutto sommato. Eppure la novità della pandemia e della guerra sono già superate, rimosse. Non fanno più parte del dibattito, se non per l’aggiornamento delle statistiche sui decessi. E dunque, una classe politica e un ceto di dirigenti lottizzati e manager meritocratici (ovvero tagliatori di teste e, nelle Asl, di letti), la gente che ha consentito e promosso la distruzione (aziendalizzazione) della sanità pubblica è sempre al suo posto, i progetti di riforma sono parziali o insabbiati, e perché mai? Perché, in generale, non si è capaci di declinare il concetto di “riforma” se non nel senso del liberismo, del Mercato ecc. ecc.; idem dicasi per la scuola e per tanto altro. Per far cadere un governo, da noi, questo non basta, ma possono farlo i balneari e i tassisti. Questo è lo scandalo: che tutto venga riassorbito e ridotto alla portata dei talk show e poi rimosso, secondo una prassi intoccabile. Ora, evidentemente non può avvenire, così, che la famosa “agenda” dei variopinti governi succedutisi nel giro di pochi anni possa cambiare di segno. La condivisione o complicità tra i partiti si fonda su un tabù; la critica del liberismo e le opzioni di cambiamento sono interdette, il che lascia spazi enormi ai partiti reazionari della peggior specie, che di veramente “liberale” non hanno nulla, bensì un concetto di libertà iper-individualistico, socialmente distruttivo, per sua natura arrogante e antiegualitario.
La guerra e la pandemia come stress-test, insomma…
“Andrà tutto bene”: lo slogan degli sfigati che sentono di venire fregati un’altra volta, l’esorcismo degli sconfitti che si affidano alla sorte, non avendo altra risorsa. Ma per continuare la rassegna: sull’indecenza dei brevetti sui vaccini durante una ecatombe planetaria – come sulle delocalizzazioni selvagge o sul precariato – si è fatta un po’ di manfrina e nient’altro. Troppo pesanti gli interessi in gioco: è la globalizzazione, bellezza… Lo si è toccato con mano, nel solco dell’emergenza: lì per lì uno scossone, un trasalimento, poi il niente. Abbiamo potuto vedere, in questi frangenti, il lavoro sporco dei media, la macchina dell’oblio e della mobilitazione di massa per salvare gli interessi di chi “sta in alto”, come diceva Brecht. In quali programmi o agende di partito si affronta questo tema decisivo, il terreno su cui cresce il peggiore populismo, da una parte, dall’altra la fuga dalla politica e l’astensionismo? Perché non si dice mai nulla su quali sbagli sono stati fatti, né si rende conto delle inadempienze, di come sono state mandate allo sbaraglio intere generazioni – di chi “sta in basso”, ovviamente. Ma per ripartire, non si dovrebbe iniziare proprio da qui, e dove se non a sinistra ci si dovrebbe far carico di immaginare un futuro diverso? No, invece: l’opinionismo come espressione di democrazia, figuriamoci; persino gli scienziati si sono prestati al gioco, non si parli di cosiddetti storici e sociologi. A costoro chi gestisce i media dovrebbe aumentare un bel po’ la parcella, dato lo strenuo impegno richiesto dai tempi: hanno fatto gli straordinari, tutti i giorni in tv e sui social, mica uno scherzo… trovo solo seccante che siano nell’organico di antichi atenei gestiti su fondi pubblici. Le carte, insomma, sono truccate in partenza, il palinsesto non si tocca: mai un approfondimento, mai una messa in prospettiva, mai un ragionamento che vada oltre i ferrei paletti del presente, i confini che fissano i termini della par condicio, delle verità che sono sempre mezze verità, merci all’incanto, battute da social e via di seguito: ora non c’è tempo, grazie e buonanotte, c’è la pubblicità, chiudiamo il collegamento e intanto lasciamo sbraitare i buffoni di corte.
E quindi tu non vedi differenze, in questo quadro, tra i governi Conte e quello di Draghi?
Non m’interessa elogiare o liquidare questo o quel personaggio, questo o quel partito, ma di guardare in faccia il Paese, il suo prossimo futuro. Cerchiamo di guardare oltre. Siamo a un passaggio decisivo, ma continuiamo a sorridere delle macchiette casarecce del “centrodestra”, in realtà pericolosissime: sta’ attento, amico mio, perché questi – con questa “informazione” e l’“intrattenimento” e le loro menzogne – giorno dopo giorno hanno formato una audience a loro somiglianza, e quanto appare un regresso ferino che riporta il calendario a prima dell’illuminismo è piuttosto l’altra faccia del “progresso”, che per chi è fuori dal giro prevede appena il trickle down, la famosa teoria della goccia, per cui i benefici economici elargiti a vantaggio dei ceti più abbienti (per esempio l’alleggerimento dell’imposizione fiscale) favoriscono necessariamente l’intera società, compresi i ceti medi, in realtà emarginati e in crisi, e le fasce di popolazione più disagiate. È ancora reaganomics, mio caro! Allora, per quanto riguarda Draghi, sai che ti voglio dire? Nella mia terza età amo le provocazioni e trovo che alla fine per una vera sinistra – quella che non c’è – uno come lui sarebbe stato un avversario degno di questo nome, di quelli che nel confronto ti aiutano a crescere, a essere più efficace e capire meglio dove ti trovi, magari provando a uscire dal provincialismo dei nostri politicanti, siano essi dei Parioli, di Rignano o Cazzago Brabbia. Un nostro antico maestro diceva, ti ricordi: è con i draghi che dovete battervi, non con le lucertole… La manovra di palazzo che è all’origine della crisi di governo, non senza margini oscuri, è invece la più ovvia delle conferme che l’ordine del giorno lo stabiliscono loro, le lucertole. Non può esserci un vero confronto, non esiste un luogo per questo, né un percorso che porti fuori dalle sabbie mobili perenni. Le lucertole avevano fretta di riprendersi ogni spazio e non sono di quelle che scappano per le siepi di qua e di là, si fanno sentire, eccome: ed ecco il chiacchiericcio più bieco che dà il tono alla campagna elettorale. Di qui a fine settembre ne sentiremo delle belle, sì, ma non si vuole, anzi non si possono affrontare i temi di fondo. Biascicare del presidenzialismo, resuscitare il ponte di Messina. Le guerre e le pandemie passano. I governi anche. Le leggi elettorali, forse. Si procederà, giorno per giorno, sull’onda mediatica di queste cose e dei sondaggi, la vera essenza – o forse la parodia? – della democrazia compiutamente moderna. E poi puoi scommetterci, alla prossima emergenza nazionale, forse già in arrivo in autunno, si tirerà fuori dal cappello un altro “tecnico”, con la sinistra che ne reggerà di nuovo il fardello, allineandosi prontamente per poi riconsegnare ai populisti e ai loro loschi figuri il comando.
La storia che si ripete, ogni volta?
Speriamo di no, ma ti ricordo, e qui finisco i miei noiosi lamenti, che siamo in un Paese in cui magistrati integerrimi vengono fatti saltare per aria, dove ci sono state stragi efferate e l’altro ieri un ponte dato in appalto dallo Stato a un’impresa è crollato giù ammazzando quaranta cittadini, perché si risparmiava sulla manutenzione. È qui che viviamo, che abbiamo vissuto: non è una commedia, il genere è un altro. Sarebbe meglio darsi una regolata, senza inseguire le lucertole.
Per la buvette è ora di chiudere, il barman ci guarda male. Un’ultima domanda: se la situazione è questa, perché proprio ora ti sottrai alla battaglia? Se lo avessi fatto io, un tempo mi avresti ripreso aspramente. E dov’è finita la tua famosa ironia?
Ma ormai sono nonno, mi occuperò dei nipoti. È anche questo un modo per guardare oltre, se vuoi. Diciamo che entro in clandestinità, con tanti auguri a chi resta. Quanto all’ironia, per quel che mi riguarda basta e avanza, ormai, quella della sorte.