Alla destra basta poco, per vedere “manovre rosse” e “macchine del fango”. Un po’ di critiche sulla stampa anglosassone, con riferimenti al passato fascista mai superato, ed ecco che si teme l’ombra della congiura. In fondo, già l’emersione di questa schiuma sospettosa quasi dimostra l’assunto. La vocazione a spiegare la storia con forze segrete è una prerogativa inconfondibile. Ancora adesso, nel mondo del “quando c’era lui, caro lei…” vedono nel 25 luglio 1943 un tradimento, perché qualcuno approfittò della lontananza dei migliori reparti militari, perché nel Mediterraneo potevamo battere gli inglesi, e via di seguito col chiacchiericcio che fa la gioia degli storici in ciabatte. Il ridicolo, naturalmente, non esclude il passaggio ai fatti, cioè al sangue: dopo la notte dei “tradimenti”, arriva sul serio il processo di Verona, e Mussolini non va per il sottile neanche col genero.
La realtà è un’altra e le ripicche di questi giorni hanno il respiro corto. La stampa britannica e statunitense vede avviarsi al successo elettorale una destra d’impianto antieuropeo, ringhiosa, povera di progetti precisi e gonfia di rancori che affondano le radici lontano, che nascondono l’albero genealogico e traggono linfa dallo snodo epocale: dallo scontro definito nel 1945. Ma la linfa è quella tossica, quella della parte perdente. Davvero, si conferma che Primo Levi aveva ragione: nel 1945 ci fu una tregua.
Sono diversi gli interventi che hanno urtato la suscettibilità di Fratelli d’Italia, ma va considerato soprattutto quello di David Broder, che sul “New York Times” (22 luglio, The Future Is Italy, and It’s Bleak) offre buoni stimoli, insieme con pecche e lacune.
Attento all’Italia e ai movimenti di destra europei, Broder riconosce che il pericolo non consiste nell’incombere di una dittatura, e che la situazione non è paragonabile né agli anni Venti né ai Settanta. Non si rischia l’accasermamento del popolo italiano. La questione, però, è che dalla bara di Mussolini, già troneggiante nel simbolo del Msi, ridotta in quello di Fdi a un formato ultrapiatto più modaiolo, si potrebbero sprigionare fuochi fatui imprevedibili, diversi dal sanguinoso canovaccio novecentesco.
Giusta, l’affermazione secondo cui l’Italia è un laboratorio del domani e quindi un buon punto di osservazione: “If you want to know what the future may hold, it’s a good place to look”. Questa consapevolezza, in fondo, non è particolarmente originale. Eppure è bene non perderla di vista.
Effettivamente, non solo mafia e fascismo sono parole italiane, ma la “marcia su Roma” inaugurò un modello negativo capace di far proseliti a livello mondiale e sui tempi lunghi. Però, attenzione. Prima di tutto c’è da sperare che anche i lettori del “New York Times” vedano, nell’assalto criminale contro le istituzioni di Washington e a sostegno di Trump, nel gennaio 2021, una replica tardiva, un nipotino velenoso del fascismo, una cosa da schiacciare e che invece è contrastata solo da una parte della società statunitense. Purtroppo, a proposito di cattivi maestri, Broder non valorizza un parallelo che viene spontaneo: non nomina Trump neanche quando ricorda un altro dispositivo politico, moderno e nefasto, su cui l’Italia ha fatto da apripista: quello di Berlusconi, anche lui affarista del mattone e della comunicazione.
Poi, per quel che ci riguarda da vicino, c’è qualcosa che non si deve tenere da parte, soprattutto quando ci si impegna nel giornalismo. Col modello fascista novecentesco si affermò una società dichiaratamente di diseguali; trionfò e si assestò postuma, in un tempo di falsa pace, la sciagura della partecipazione a un conflitto mondiale che gli italiani non avevano voluto; fu messo in catene per generazioni, comprese quelle oggi viventi, il progetto di riscatto sociale, culturale e morale del Risorgimento. Solo tenendo conto di questo, si capisce quanto male ha fatto il fascismo agli italiani e al mondo. Spiegò mirabilmente certi passaggi della modernità Raffaello Giolli, un intellettuale caduto combattendo i nazifascisti, in La disfatta dell’Ottocento, un “libro macabro” – sono parole sue – scritto prima di essere catturato, torturato e deportato a Mauthausen Gusen: il Risorgimento fu rivoluzione, ma incompiuta, eppure non per questo sprecata.
Proprio perché il Risorgimento immaginava un’Italia grande in quanto rivolta al bene anche degli altri popoli, un primato morale e civile, non coloniale, l’Italia egoista e aggressiva dei primi decenni postunitari, e soprattutto del fascismo, stravolse tutto costruendo un cunicolo reazionario, una casamatta lugubre per le parate di burattini sfruttati (senza risparmiare le burattine). C’è dunque una notevole coerenza, nei timori di macchinazioni decise dai finanzieri, nelle pulsioni identitarie esclusiviste, nei negazionismi antiscientifici, nei superomismi da spiaggia della destra italiana di oggi, perché le offese al Risorgimento non finiscono mai. E allora, chi torna a nutrirsi a quella fonte può intendere meglio il presente. Broder è preparato, certo, è un ottimo conoscitore del nostro Paese, ma una rilettura di Salvemini e Mack Smith, che sicuramente ha già frequentato, renderebbe più efficace il suo discorso. Quanto alle reazioni di Fdi alle critiche, sono spiegabili dal basso: c’è la preoccupazione di dover affrontare contrasti col potere affaristico; per il resto, la posizione degli intellettuali di lingua inglese è troppo distante dal perimetro di osservazione della destra.
Malgrado i cenni alla disoccupazione e alle sperequazioni regionali, lo strumento mediatico limita alle compatibilità: il falso interclassismo fascista non può essere smascherato sul “New York Times”. Perciò bisogna dire qui, con le nostre forze, che il fascismo nacque contro il socialismo, il repubblicanesimo, il sindacalismo e il movimento cooperativo, di diversi orientamenti politici, approfittando del tradimento di Benito Mussolini, uno dei militanti socialisti più intransigenti (niente di paragonabile alla storia di Giorgia Meloni). Bisogna anche sottolineare il duro arretramento delle condizioni del lavoro, da Berlusconi sino a ora, con l’impoverimento di milioni di persone. E aggiungere la situazione dell’ambiente – quello naturale e quello sociale – coi legami che ha con l’abbrutimento delle persone; e lì c’è molto da dire, eccome, perché fra caporalato, spreco del territorio, cementificazione e stupefacenti la destra italiana vanta almeno mezzo secolo di esperienza. Nel suo modello lontano, del resto, c’è la manipolazione violenta della città e della natura, proclamata e fanatizzata dal fascismo (piccone risanatore, sventramenti, bonifiche eccetera) che è il contrario della giustizia climatica indispensabile alla vita.
Sarebbe un’Italia terra di morti, alla Lamartine, non solo quella che fosse inconsapevole del suo posto o si ammalasse di istrionismi da balcone e sbalzi d’autostima, ma anche quella che, non sapendo cosa dire, ripetesse critiche troppo facili.