Il tempo è qualcosa di insolitamente lungo, diceva un poeta. In esso le cose a volte tornano in forme apparentemente simili, ma che non sono mai esattamente le stesse. È questo il caso del “centrodestra” in Italia, che ricompare proprio mentre si profila una delle più concitate e brevi tornate elettorali della storia della Repubblica. Una tornata in cui sembra che i giochi siano in buona parte già fatti: secondo le stime dell’Istituto Cattaneo, certo indicative e discutibili, con il sistema elettorale in vigore l’alleanza tra berlusconiani, leghisti e postfascisti vincerà e forse stravincerà. Per la sinistra potrebbe essere il capolinea, cui poco vale l’inserimento nelle liste di fuoriusciti ambigui, non graditi alla base, reclutati sul campo in extremis, in una estenuante quanto impossibile rincorsa al centro.
Il gioco delle alleanze è obbligato, perché il sistema impone coalizioni il più possibile ampie, vista la riduzione del numero dei parlamentari e il conseguente ampliamento territoriale delle circoscrizioni; ma di fronte allo spettacolo offerto da “partiti agglutinanti” (come li ha efficacemente definiti il giornalista Simone Spetia), risulta difficile sottrarsi alla sensazione di una sorta di finale di partita, di un’atmosfera da fine di un’epoca. Quella che in ogni caso sembra destinata a concludersi è la parabola del berlusconismo, di cui le prossime elezioni potrebbero rappresentare l’ultimo atto. La scelta operata dall’ottantacinquenne Silvio di schierarsi con le destre estreme appare un coup de théâtre per tornare sulla scena. L’accordo elettorale pare preveda che in caso di vittoria sarebbe lui a diventare presidente del Senato. Berlusconi ufficialmente smentisce, ma la prospettiva di poter giocare un ruolo nuovamente di primo piano ha probabilmente determinato la sua scelta di imbarcarsi sulla nave delle elezioni anticipate.
Anche perché Forza Italia, da tempo, non va benissimo: è stata segnata, negli ultimi anni, da una serie di defezioni e di allontanamenti già prima delle dimissioni clamorose di alcuni ministri. Le stime la davano pochi mesi fa tra il 5 e i 7% dei suffragi, e il partito chiave del berlusconismo rischiava la dissoluzione in caso di flop elettorale. Ora, invece, il partito del Cavaliere si trova rilanciato in una coalizione di destra, che si ritiene già certa vincitrice delle elezioni. Da poco archiviata la fine del governo Draghi, sembra che il tempo abbia conosciuto un’improvvisa accelerazione; e alla fine della corsa l’Italia si ritroverà, quindi, una maggioranza di destra al governo. Una come non se ne vedevano da tempo in Europa: lontana dalle destre di governo francesi alla Giscard o alla Pompidou, ma molto, molto di destra, con una forte componente nazional-populista.
L’alleanza elettorale costituita da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia si è autodefinita, guardando appunto al passato, come “centrodestra”, ma la formula è stantia, e non rende i rapporti di forza all’interno della coalizione. Non siamo più nel 1994, quando Silvio Berlusconi aveva stretto alleanza con la Lega Nord e i fascisti al fine di andare al potere, salvo poi condannare gli alleati a una condizione di subordinazione e a un sostanziale isolamento politico. Fino a quando Berlusconi è stato il leader di quella precedente alleanza, un padrone incontrastato, dotato com’era di un patrimonio di elettori doppio o triplo rispetto agli altri partiti, il termine “centrodestra” poteva essere in qualche modo giustificato, anche se Berlusconi non era esattamente un politico conservatore di tipo tradizionale. Da quel che si profila, ci si troverà invece, dopo le elezioni, con un rapporto di forza interno all’alleanza completamente rovesciato rispetto al 1994: il centro si è notevolmente ridotto quantitativamente, è la destra dura e pura che guiderà la coalizione.
Negli ultimi sondaggi, Forza Italia si attesta tra l’8 e il 10%, la Lega al 14, Fratelli d’Italia al 23. Berlusconi è azionista di minoranza nei nuovi equilibri di potere della destra italiana. Di qui, tutta una serie di balletti per decidere chi andrà a Palazzo Chigi. Si profila dunque un possibile governo di “destracentro”, più che di “centrodestra”, e questo preoccupa non poco l’opinione pubblica europea. Meloni, dal canto suo, fa di tutto per trasmettere un’immagine rassicurante, e si è detta orientata a garantire la continuità con le scelte del governo precedente, ma non sono state dimenticate le sortite in compagnie poco raccomandabili da Orbán a Vox, così come non sono chiare le sue posizioni rispetto all’Europa, che la leader postfascista pretende di “cambiare dall’interno”, esattamente come la sua omologa francese Marine Le Pen, cui la accomunano anche le posizioni iper-conservatrici e non certo “europee” sulla famiglia, sull’immigrazione e sull’islam.
Matteo Salvini, invece, in un’ultima ed estrema caccia al voto, appare affaccendatissimo e in fibrillazione. In occasione di una uscita pubblica a Domodossola, ha delineato un programma essenziale dei “primi cento giorni del governo di destra”: condono fiscale, flat tax, zero migranti nelle strade, sicurezza nelle città: queste sarebbero a suo avviso le emergenze assolute cui fare immediatamente fronte. Si intuisce facilmente che vorrebbe tornare a fare il ministro degli Interni.
Anche un Berlusconi rivitalizzato impazza di nuovo su tutti i canali, si esibisce su periodici scandalistici a torso nudo, a mostrare una impossibile condizione fisica di ritrovata vigoria, promette quattrini e dentisti gratis alla platea di anziani che lo ammirano.
Certo, nel “destracentro” che si sta disegnando, egli potrebbe ancora giocare un ruolo, soprattutto in Europa, presentandosi come garante della moderazione e della continuità. Qualche giorno fa, la “Süddeutsche Zeitung” segnalava questa possibilità, ammonendo al tempo stesso Manfred Weber, presidente del Partito popolare europeo, a non dargli troppo credito, nel caso questa ipotesi si dovesse concretizzare. La fine di Berlusconi potrebbe assumere la forma grottesca di una marionetta rassicurante dietro cui agiscono le forze della destra sovranista in un gioco delle parti dominato dalla irresponsabilità e dall’avventurismo politico.
Al di là dell’apparente tranquillità che regna nel Paese, si sta giocando una gigantesca roulette russa sul terreno politico: e non resta che trattenere il respiro in attesa che si consumi questa ultima velenosa estate, che rotola via come su un piano inclinato. Motus in fine velocior.