Di fronte alla direzione nazionale del Pd, il 26 luglio, Enrico Letta ha detto delle cose fuori dalla realtà. Il segretario vuole illudere e probabilmente autoilludersi. Anzitutto non è vero che con questa legge elettorale non si possa arrivare a una sorta di pareggio. Nel 2018, con oltre il 32% dei voti e una maggioranza relativa sia alla Camera sia al Senato, il Movimento 5 Stelle poté dire di essere arrivato primo, ma ebbe bisogno di costruire maggioranze a destra e poi a sinistra per andare al governo. Non era esattamente un pareggio, ma qualcosa che gli assomigliava. E, visto che Letta ha imperniato tutto il suo discorso su “o noi o Meloni”, nulla vieta che, con un distacco minimo a favore della lista del Pd o di quella di Fratelli d’Italia per il raggiungimento della palma del primo posto, la differenza possa essere esile al punto che si possa parlare di un pareggio.
Di più, con un vantaggio sui 5 Stelle di ben quaranta deputati e di quasi trenta senatori, nel 2018 il cartello delle destre (identico a quello che si presenta oggi) restò parecchio lontano dalla maggioranza assoluta alla Camera e al Senato, tanto da non potere, pur con quei numeri, proporre nulla nel senso di un governo suo proprio. La legge elettorale, che è un misto di proporzionale e di maggioritario, è congegnata in modo tale che uno dei risultati probabili che ne possono venire fuori è quello di coalizioni da costruire in parlamento. In questo caso, ammesso che il Pd risulti il primo partito, con chi mai potrà fare il suo governo? È la domanda a cui Letta dovrebbe rispondere. E la risposta non può che essere: anzitutto con il Movimento 5 Stelle (a meno che questo non precipiti ulteriormente), e poi con i berlusconiani e la parte centrista del cartello delle destre. Punto.
C’è inoltre la questione Calenda, a cui Letta avrebbe aperto per un’alleanza elettorale. Questo personaggio, in simbiosi con Emma Bonino, ha detto e ripetuto più volte che non farebbe mai un accordo di governo con i populisti. Dunque che senso ha portarselo dietro, quando si sa che, nonostante le polemiche del momento, saranno proprio i 5 Stelle i potenziali alleati di Letta in parlamento? Al contrario, Calenda, da solo, potrebbe strappare qualche voto alla componente centrista dell’elettorato delle destre: persone che non voterebbero mai per un’alleanza che abbia come perno il Pd. Coerenza avrebbe voluto, semmai, che, messa da parte la rabbia per la caduta del governo Draghi, si fosse, nonostante tutto, sottoscritto un patto elettorale con i 5 Stelle. Per che cosa? Ma per cercare di vincere nei collegi uninominali in cui passa il candidato con il maggior numero di voti, e in cui soltanto l’alleanza fa la forza. O Letta pensa di potere risucchiare tutti i consensi residui dei 5 Stelle facendoli sparire dal panorama politico? Se così fosse, saremmo di fronte a un’altra illusione: perché i 5 Stelle, in virtù delle loro capriole e non nonostante le loro capriole, sono ancora quelli in grado di drenare un po’ del voto di protesta, più o meno qualunquistico o addirittura proveniente da una sinistra priva di espressione sua propria, e sono quindi un presidio sul versante dell’astensionismo e verso lo sbocco di questo voto a destra. In altre parole, se Letta, con la sua listarella appena un po’ allargata, può aspirare ad arrivare primo, sarà anche perché i 5 Stelle avranno trattenuto alcune delle componenti del rancore sociale dal votare per Fratelli d’Italia.
C’è infine l’illusione probabilmente più grossa. Letta pensa che si possano andare a cercare i consensi nell’elettorato berlusconiano residuo, che potrebbe essere seccato dalla infausta fine del governo Draghi, per la quale c’è stata un’indubbia corresponsabilità forzitaliota. Ma Letta ignora, o finge di ignorare, che lo zoccolo duro berlusconiano (tra l’altro, con un Berlusconi che ritorna a candidarsi) non voterà mai per il Pd che resta il partito più odiato. E Draghi? A questo tipo di elettore andava bene perché poteva garantire il Nord nella spartizione dei fondi del Pnrr, e perché toglieva di mezzo un governo come il Conte 2, considerato troppo a sinistra. Per il resto, di Draghi se ne fregano. Un governo con Meloni e Salvini, che i berlusconiani pensano ancora di poter condizionare – e magari anche, con un po’ di fortuna, di esserne l’ago della bilancia –, resta l’opzione preferita. Poi, certo, anche una nuova “unità nazionale” con il Pd, se le destre non avranno la maggioranza assoluta nei due rami del parlamento – ma votare direttamente per il Pd, questo mai!