Tassisti e concessionari delle spiagge. Due facce della stessa rivolta contro le liberalizzazioni? Sulla stampa, a proposito del disegno di legge concorrenza (che prosegue il suo cammino, nonostante la fine del governo Draghi), si è fatta di ogni erba un fascio; ma stiamo parlando di realtà economiche e sociali tra loro differenti e anche molto diversificate al loro interno. Da una parte, ci sono i tassisti (circa quarantamila licenze in Italia), che molto spesso hanno comportamenti corporativi e simpatie di destra, ma che rientrano spesso in quella porzione di classe operaia che si è dovuta reinventare un lavoro dopo le varie crisi industriali di questi anni e i relativi licenziamenti. Dall’altra, ci sono i proprietari delle concessioni balneari che (anche qui con diverse caratteristiche sociali) hanno potuto approfittare dell’assenza totale di regole nella gestione del demanio e delle spiagge.
Il premier uscente – per evitare che si arenasse tutto il lavoro parlamentare fin qui realizzato – ha deciso di stralciare dal provvedimento le norme sui taxi, mentre la riforma della gestione delle aree balneari rimane (per ora) attiva, anche se si dovranno verificarne gli esiti nelle traduzioni pratiche della norma. Il disegno di legge, infatti, dovrà essere scomposto in tanti decreti attuativi (sette deleghe e quattro decreti ministeriali), tanti quanto i temi trattati. Il banco di prova è molto impegnativo e ancora una volta rimette in campo l’annosa questione del rapporto tra diritti dei cittadini e libertà di impresa, tra diritto al servizio pubblico (e più in generale alla fruizione di beni comuni, come l’acqua) e liberalizzazione.
La campagna elettorale degli ombrelloni (sotto gli ombrelloni)
Per le concessioni balneari è già dunque aria di campagna elettorale perché i concessionari invocano la stessa sorte dei tassisti: lo stralcio. Per ora, resta la versione di compromesso raggiunto tra le parti politiche. Si prevede una duplice attuazione: una, più facile, impegna il governo a costruire in sei mesi una piattaforma per la mappatura delle concessioni. Più complesso il decreto delegato che dovrà fissare i criteri per le nuove gare e gli indennizzi per chi uscirà. In campo, torna perfino Berlusconi con Forza Italia che ha già fatto sapere che il prossimo governo, “sicuramente di centrodestra”, cambierà rotta a favore dei concessionari e darà battaglia in Europa. Intanto, le concessioni sono prorogate a fine 2023, con estensione a fine 2024, in caso di contenziosi o difficoltà a fare le gare.
La quarta volta
Per quanto riguarda i taxi, è la quarta volta, con quattro diversi governi, che si decide di accantonare la riforma (il primo tentativo di riforma fu quello di Pier Luigi Bersani). Scena che si potrebbe appunto estendere anche ai “balneari”. Il governo uscente, però, nonostante lo stralcio dei tassisti, si continua a dichiarare cautamente ottimista sul resto: l’accordo con la maggioranza è quello di chiudere il testo senza ulteriori modifiche, anche se siamo in presenza di un’evidente pressione sui partiti del centrodestra da parte della lobby dei titolari di stabilimenti balneari, che non solo chiedono di cancellare la riforma delle concessioni, ma anche l’aumento dei canoni fin qui pagati. Il parlamento è stretto, dunque, tra due opposte pressioni: quella delle lobby nostrane (e multinazionali come nel caso delle app dei taxi, Uber e non solo) e quella di Bruxelles, che ha avviato da più di dieci anni una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. L’Europa ci attende al varco, anzi sulla spiaggia.
Corsa contro il tempo
Per rispettare i tempi, servono appunto entro l’anno sette decreti legislativi e quattro ministeriali. Il governo prova ad accelerare ma c’è il nodo dei pareri delle commissioni. Con le elezioni anticipate alle porte, chiudere il cerchio entro il 2022, come esplicitamente previsto dal Pnrr inviato alla Commissione Ue, è un’operazione estremamente complessa. Vedremo come si modificherà il quadro politico generale, ma è evidente che le questioni tecniche non si possono esaminare separatamente dai giochi di potere a livello nazionale. Uno degli interrogativi di tutti gli osservatori riguarda la volontà del prossimo governo di proseguire il lavoro dell’esecutivo Draghi. Sul tavolo, tutti temi scottanti e, come si usa dire oggi, “divisivi”: si dovrà decidere sulle deleghe sui criteri per le gare delle concessioni balneari, sui servizi locali, sulle semplificazioni e i controlli delle attività di impresa, sulla semplificazione delle autorizzazioni per gli impianti di energia rinnovabile. Ci sono poi anche altre deleghe considerate più “tecniche”, come quella sul sistema informativo per mappare le concessioni pubbliche e quella sui controlli di conformità delle merci e la vigilanza del mercato interno. I quattro decreti ministeriali saranno invece sui porti, il gas e sui farmaci emoderivati. Tra i provvedimenti anche le linee guida di Palazzo Chigi sui poteri Antitrust in merito all’abuso di dipendenza economica delle piattaforme digitali. Complessivamente, il testo del disegno di legge si compone di 35 articoli.
Relazioni pericolose
I tassisti hanno vinto – hanno titolato i giornali dopo lo stralcio. Ma chi applaude? “Io sto con i tassisti, con il loro lavoro, coi loro sacrifici. Punto”. Sono le parole di Matteo Salvini pronunciate nel pieno di una delle tante proteste dei taxi contro la concorrenza di Uber e delle altre piattaforme. Salvini è rimasto alquanto defilato in questi giorni di scontro, ma i deputati della Lega hanno provato a picconare più di una volta l’articolo 10 del disegno di legge sulla concorrenza, e la Lega è rimasta sempre l’interlocutore privilegiato delle auto bianche. Un’altra sponda politica storica delle associazioni dei tassisti è quella di Fratelli d’Italia. Fuori dalle forze di governo, Fdl flirta da sempre con il mondo dei tassisti, in prima fila contro ogni tentativo di liberalizzazione del settore, e in sede di discussione alla Camera ha presentato anche un emendamento soppressivo della norma che assegna al governo una delega sul dossier. Una vicinanza, quella tra la categoria e Fratelli d’Italia, sancita anche con la candidatura alla Camera di Loreno Bittarelli, numero uno della Cooperativa Radiotaxi 3570 di Roma e dell’Unione Radiotaxi d’Italia. Primo dei non eletti, Bittarelli aveva mancato di un soffio lo sbarco tra gli scranni di Montecitorio, dopo avere fallito l’elezione, già cinque anni prima, tra le liste del defunto Popolo della libertà. Ma le alleanze sono spesso trasversali.
I tassisti visti da sinistra
Sfumata la posizione del Partito democratico. Mentre il segretario Enrico Letta si è mantenuto prudente sul dossier taxi, alcuni suoi deputati alla Camera hanno fatto asse con il “partito dei taxi”, vale a dire Lega e Fratelli d’Italia, proponendo la soppressione dell’articolo contestato, come nel caso dell’emendamento firmato da Davide Gariglio, capogruppo in commissione Trasporti e Umberto Del Basso De Caro, ex sottosegretario ai Trasporti. Il rimescolamento delle forze e delle identità politiche ha portato paradossalmente sotto la stessa bandiera (quella di Leu), perfino il padre delle liberalizzazioni in Italia, Pier Luigi Bersani, e Stefano Fassina, l’esponente che da sinistra si è battuto con maggiore determinazione contro il disegno di legge. “La concorrenza non si fa sulla pelle di lavoratori e lavoratrici. Va colpito lo sfruttamento del lavoro attraverso le piattaforme. Non vanno costretti i tassisti allo sfruttamento” – aveva detto qualche mese fa l’ex viceministro dell’economia.
Un sospiro di sollievo
Soddisfatti per il passo indietro del governo anche i sindacati dei tassisti, che tirano ovviamente un “sospiro di sollievo”, come ha spiegato Riccardo Cacchione, coordinatore nazionale di Usb Taxi, “per noi e per tutti gli utenti che si rivolgono a quello che dovrebbe essere un servizio pubblico essenziale”. Un po’ meno entusiasta Nicola Di Giacobbe, coordinatore nazionale di Unica Cgil Taxi (che “terzogiornale” aveva già sentito). In merito allo stralcio dell’articolo 10, Di Giacobbe ha commentato: “In realtà era già stato votato dalla maggioranza in commissione Trasporti: era una decisione già presa, come avevamo chiesto noi. Ma avevamo anche chiesto un intervento per regolamentare le applicazioni tecnologiche e per dare attuazione ai due decreti rimasti in sospeso. Il governo ha deciso, in questa fase, di procedere sullo stralcio ma non sul resto. Bene sull’articolo 10, quindi, male sul resto, perché la norma andava fatta, perché così le multinazionali continueranno a operare senza regole sul nostro territorio”.
La posizione di Federconsumatori
Per rimanere sempre nel campo della sinistra progressista e democratica, è interessante citare la posizione di Federconsumatori. “Riteniamo condivisibile e positiva l’adozione di una normativa specifica che possa rivedere e adeguare alle esigenze dell’attuale contesto socio-economico la disciplina relativa al trasporto pubblico non di linea – si legge in un comunicato –, a tal riguardo, è quanto mai urgente bilanciare e rendere sempre più funzionale l’offerta di servizi sulla base delle forme di mobilità oggi utilizzate, fruibili anche attraverso applicazioni web e per device mobili che utilizzino piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti. È necessario che venga disciplinato il comparto in maniera definitiva, per far emergere e contrastare le forme di illegalità presenti e valorizzare gli operatori che, nel rispetto delle regole, si impegnano a garantire i servizi, e mettere fine a continui interventi legislativi che non permettono nessuna pianificazione degli investimenti. Vanno previsti, inoltre, meccanismi di salvaguardia dei contratti di servizio pubblico conferiti in esclusiva qualora modalità di trasporto collettivo esercitato da autoservizi non di linea incidano sul medesimo bacino di utenza gravando negativamente sul contratto di servizio stesso”.
Spiaggia libera per tutti?
Vedremo – anche alla luce dei cambiamenti del quadro politico – che cosa succederà per le spiagge. Per le concessioni balneari, l’intesa era stata trovata eliminando dall’emendamento dedicato alla modalità di calcolo degli indennizzi ai concessionari uscenti, com’era stato scritto nella proposta di mediazione del governo. Si dovrà emanare ora un apposito decreto delegato per definire l’effettivo calcolo. Il via libera era già arrivato a febbraio, con l’approvazione in sede di Consiglio dei ministri di quello che l’Europa chiede da tempo: la messa a libera gara dell’affidamento delle concessioni demaniali. Il testo prevede che le concessioni in essere continuino ad avere efficacia fino al 31 dicembre 2023. Dopodiché verranno predisposti bandi di gara. E dal 2024 dovrebbe cambiare tutto. Le gare devono avere respiro europeo, quindi aste pubbliche ed europee: si dovrà garantire la “Libera circolazione di beni e servizi nell’Unione europea”, come dice la famosa direttiva di Fredrick Bolkestein, l’ex commissario alla Concorrenza che nel 2006 firmò il testo. Nel nuovo disegno, l’obiettivo di garantire a tutti i cittadini il libero accesso ai tratti di costa dovrà essere un punto focale. Si tratta pur sempre di territorio demaniale (quindi pubblico e di tutti). Ecco perché si dovrà garantire il giusto equilibrio con gli spazi liberi. I varchi di libero accesso alla battigia dovranno sempre essere garantiti. Così come dovrà essere adeguatamente garantita l’accessibilità alle persone disabili, anche con strutture amovibili che abbiano il minimo impatto possibile sul paesaggio. Forza Italia e destre varie permettendo.
Il grande affare
La destra che difende i concessionari attuali difende una casta di privilegiati e un grande giro di soldi. Secondo i dati pubblicati dall’autorità garante della concorrenza e del mercato, nel 2019, le concessioni demaniali marittime erano 29.693 e di queste 21.581 erano state concesse con un canone annuale inferiore a 2.500 euro. Nello stesso anno lo Stato ha incassato in totale 115 milioni di euro in canoni concessori: una cifra molto contenuta, se paragonata al giro d’affari complessivo degli stabilimenti balneari, che la società di consulenza Nomisma ha stimato in quindici miliardi di euro all’anno. Gli stabilimenti balneari occupano spiagge e tratti di costa, che sono parte del demanio pubblico, una proprietà dello Stato che non può essere venduta. Come segnala il report “Spiagge 2020”, realizzato da Legambiente, complessivamente, si può stimare che almeno il 42% delle coste sabbiose sia occupato da stabilimenti balneari, anche se in alcune regioni la percentuale sale di molto: in Liguria ed Emilia-Romagna quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari, in Campania il 67,7%, nelle Marche il 61,8%.