A Genova le giornate afose si chiamano, con termine di incerta origine, “macaia”. È quando spira lo scirocco, il cielo è coperto e il tasso di umidità è elevato. Sono giorni pesanti, di stagnazione, in cui la vita sembra rallentare, diventa opprimente muoversi e lavorare. È questa la situazione di stasi in cui pare versare la “giunta del fare”, fatalmente e prevedibilmente rieletta, ma al momento bloccata nei suoi progetti più ambiziosi. Segna infatti il passo il megaprogetto del rifacimento della Diga Foranea, su cui si sono abbattute, nelle scorse settimane, feroci polemiche, dopo che l’appalto dei lavori è andato deserto, e dopo che in un duro intervento il consulente – professor Piero Silva, che figura come uno dei più importanti progettisti del settore –, ha messo in evidenza, in un rapporto, tutti i rischi che comporta la realizzazione del progetto.
A dire di Silva, la nuova Diga Foranea, uno dei fiori all’occhiello del Pnrr, presenta problemi non facilmente aggirabili di tipo costruttivo e statico. Così si esprime: “Questa diga va a una profondità di 50 metri, cosa di per sé già eccezionale per una struttura convenzionale come quella proposta e (…) poggia su uno strato di limo argilloso spesso tra i 10 e i 15 metri che non è adeguato alle fondazioni”, e quindi la mette “a rischio di collasso geotecnico”.
Il fondale argilloso del porto di Genova potrebbe non reggere il peso dell’opera ciclopica prevista. Il consulente, che si è già da tempo dimesso dal ruolo di direttore tecnico del Project Management Consulting del Rina (“Registro navale italiano”) per la nuova Diga, ha aggiunto: “I metodi di consolidazione esistono ma non sono stati sperimentati su fondali così profondi”, e ha sottolineato che “le profondità massime riportate dalla letteratura scientifica sono quelle del porto di Patrasso”. E si parla di misure non oltre i 27 metri di profondità contro i 50 che verrebbero raggiunti a Genova. In sostanza, “lavorare a 50 metri di profondità su uno strato del genere vuol dire non sapere cosa si fa”. Silva ha anche affermato che i veri costi dell’opera saranno probabilmente almeno il doppio di quelli preventivati, e dovrebbero aggirarsi intorno ai 1700 milioni di euro invece dei 900 attualmente previsti; inoltre, molto difficilmente si riuscirà a realizzarla entro il 2026, data di scadenza prevista per l’utilizzo dei fondi, ma nella migliore delle ipotesi ci vorranno almeno quindici anni.
Certo è che l’opera ha suscitato un certo scetticismo anche a livello internazionale, e quello che era un mormorio perplesso, che circolava tra pochi addetti ai lavori, è diventato pubblico clamore. Riprendono voce anche i pochi che in precedenza avevano osato avanzare pubblicamente dubbi ed erano stati messi all’indice, ascritti al partito dei disfattisti, collocati tra i nemici del futuro della città, del progresso e della portualità nazionale.
E non sono solo gli aspetti tecnici a suscitare dubbi. Nel progetto, si afferma un gigantismo che non è per ora giustificato dal quadro generale della logistica europea, e che nasce scommettendo su futuri movimenti delle merci, sull’arrivo massiccio di super-portacontainer, che per il momento non si intravedono all’orizzonte. Si prefigurano spostamenti che non sembrano completamente giustificati dall’andamento attuale dei flussi, di cui anzi si incomincia a intravedere una contrazione come effetto della regionalizzazione indotta dalla guerra e dalla pandemia. E in effetti, nella evoluzione del disegno geostrategico e geopolitico internazionale, il Mediterraneo non ha ancora una collocazione definita: appare oscillare tra opportunità e rischi. La strategia che privilegia i porti dell’Italia del Nord, Genova e Trieste, potrebbe essere inoltre inadeguata a fronte di una competizione in cui giocherà un ruolo sempre più importante la parte meridionale del Mediterraneo.
In sostanza, si conferma una ormai radicata tradizione italica di costruzione del pensiero strategico con lo sguardo rivolto al passato, in luogo di procedere a una analisi razionale degli scenari futuri. Per questo motivo, l’intera concezione della portualità presente nel Pnrr pare riflettere una stagione precedente, e forse terminata per sempre, della globalizzazione.
Questo insieme di motivi ha fatto sì che, come abbiamo già segnalato, l’appalto sia andato deserto, e le due cordate interessate stiano insistendo molto sulla difficile calcolabilità del rischio geologico dell’opera, così come sulla quantificazione del rischio. Lo stesso consulente Silva ha proposto una radicale revisione del progetto, con una diga che non si spingerebbe oltre i 30 metri di profondità; ma il sindaco non ha voluto prenderla in considerazione. Quando ha fatto presente i propri dubbi, parlando del rischio di costruire un “nuovo Mose” di veneziana memoria, Silva è stato attaccato personalmente, mettendo in dubbio sia la sua qualificazione scientifica sia la sua salute mentale.
Così per ora – nonostante lo spettro del pericolo di collasso, il raddoppio dei costi, i tempi pressoché triplicati, i rischi ambientali e per la pesca derivati dalle 660.000 tonnellate di materiali fini che potranno essere usati per fondare i cassoni – il megaprogetto va avanti. Ottimisticamente, Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar ligure occidentale, insiste sul fatto che “entro fine luglio” si raggiungerà un accordo con le due cordate che teoricamente dovrebbero competere per la realizzazione dell’opera; anzi, ha lasciato trapelare, in una intervista televisiva, che potrebbe esserci anche un misterioso “terzo” interessato all’operazione.
Per il momento però non si muove nulla. La giunta abbozza e prende tempo, anche perché la nuova Diga rappresenta il punto centrale di un ambizioso progetto di rinnovamento infrastrutturale della città, che prevede la realizzazione di nuove linee ferroviarie, e probabilmente la costruzione di un grande autoporto in Valpolcevera. Un intero disegno che sembra in buona parte sovrapposto alla città esistente, se non addirittura estraneo, e che risponde prima di tutto alle insistenti richieste della logistica, con una valutazione ancora a spanne delle ricadute occupazionali e delle conseguenze complessive per Genova, in termini di ambiente e qualità della vita dei progetti in cantiere. Per questo, la questione della Diga è una posta in gioco gigantesca, su cui si è giocata la campagna elettorale, e su cui si giocherà la credibilità politica della “giunta del fare” negli anni a venire. Per questo, il sindaco Bucci per lo più tace e lascia parlare altri, mentre in città l’attesa e l’afa continuano.