Circa sessanta funzionari dei servizi di sicurezza ucraini sono rimasti nelle zone occupate dai russi. Solo la punta dell’iceberg di una realtà più complessa, in cui almeno seicento o settecento dipendenti di medio e alto livello dell’amministrazione di Kiev hanno deciso di non seguire le forze ucraine in ritirata. Più che di un tradimento, si tratta in molti casi di una semplice scelta di vita, da parte di famiglie che continuano ad abitare territori nei quali la convivenza con i russi non è certo un’eccezione. Ovviamente, dopo questi mesi di guerra, l’opzione di rimanere nelle aree occupate non può essere considerata, soprattutto da parte di dirigenti dei servizi di sicurezza, come una semplice decisione logistica. E infatti la conseguenza di queste scelte è che il presidente Zelensky ha fatto arrestare Ivan Bakanov, il capo dei servizi segreti ucraini, insieme con la procuratrice generale Iryna Venediktova, che paga anche per molti dei suoi collaboratori dell’amministrazione giudiziaria ancora residenti nelle regioni invase dalle truppe di Mosca.
Più che una guerra, quella in Ucraina sta diventando una convivenza combattuta. Da mesi, ormai, le due comunità – ucraina e russa – si trovano spalla a spalla nell’organizzare forme di condivisione del territorio. E questa promiscuità fra parenti – perché tali sono russi e ucraini – sta imbarazzando i vertici dei due Stati. Sono infatti davvero centinaia e centinaia i casi di cambio di fronte, o di semplice adattamento a una convivenza forzata.
I soldati russi – soprattutto i più giovani, militari di leva, arrivati al fronte quasi senza saperlo – si danno alla macchia confondendosi con la popolazione locale, da cui vengono adottati anche per incentivarne la fuga. Nell’altro campo, sono molti i casi di componenti dei diversi apparati burocratici dello Stato ucraino che rimangono nelle zone occupate, mettendosi di fatto al servizio degli invasori.
Si sta creando, a macchia di leopardo, una rete di sopravvivenza fra i due gruppi all’interno di una cronicizzazione dei combattimenti, che avvengono sempre più a lunga gittata, fra forze che non si guardano in faccia. In molti villaggi, si segnalano forme di mutua assistenza nell’organizzare l’alimentazione e la logistica. Un modo per staccarsi dagli eventi bellici e per segnalare la stanchezza e la fatica della popolazione a reggere la resistenza. Si conferma così una delle prime analisi dell’intelligence americana, secondo cui l’occupazione dell’Ucraina, da parte delle forze russe, era considerata un’impresa proibitiva non tanto per la parte militare – poiché uno sfondamento, con una vittoria sul terreno almeno nella zona del Donbass, era ritenuto possibile –, quanto per la gestione successiva. E diventa sempre più difficile, per le comunità civili, trovare ambiti di sussistenza, come pure nei primi mesi si era visto.
Decisivi, come in tutta la prima fase della guerra, gli intrecci che si realizzano sulla rete, in particolare su Telegram e TikTok, dove si prendono i primi contatti fra le truppe di invasione e le popolazioni invase. Si segnalano già gruppi e comunità virtuali di convergenza, mediante i quali russi e ucraini dialogano direttamente. Le due comunità tenderebbero inevitabilmente a mischiarsi, rendendo più agevole e praticabile su larga scala il tradizionale gioco del collaborazionismo, tipico delle occupazioni militari; e però, di conseguenza, anche più facile organizzare forme di sabotaggio e di guerriglia metropolitana, in un ambiente in cui ognuno si muoverebbe, per citare i teorici cinesi della guerriglia popolare, come “un pesce nell’acqua”.
In questa prospettiva, diventa ancora più urgente arrivare a una trattativa, che sposti la questione dal terreno puramente territoriale – l’occupazione delle zone russofone dell’Ucraina da parte di Mosca – a quello più strettamente geopolitico, come potrebbe essere la neutralizzazione dell’Ucraina con un cuscinetto di garanzia alla frontiera fra i due Paesi. Una scelta che presuppone un cambio di visuale per entrambe le leadership. Putin deve abbandonare il sogno neozarista di integrare una parte sostanziosa dell’Ucraina nei confini russi, acquisendo, tra l’altro, la zona più ricca e minerariamente più attrezzata. Zelensky deve contemplare una serie di concessioni, non solo amministrative ma anche territoriali, per chiudere la partita con Mosca.
Ovviamente, al tavolo dei negoziati non potranno non esserci gli altri convitati di pietra, come l’Unione europea e, in particolare, gli Stati Uniti, insieme con la Cina, in una sorta di gruppo promotore di una conferenza di pace e sicurezza europea. Si tratterebbe così di fissare principi e forme di convivenza, che includano il ripristino di un interscambio economico e commerciale in grado di riportare in condizioni di sostenibilità l’intera area.