Una polemica arroventata ha nelle ultime settimane scosso la coalizione “semaforo” al governo della Germania. Tutto è nato dal leader liberale, Christian Lindner, anche ministro delle Finanze, che si è dichiarato contrario alla importante proposta europea, in quei giorni in discussione in Lussemburgo, riguardante la proibizione della vendita di automobili con motori a combustione entro il 2035. Per mesi, la Germania ha contribuito alla definizione del pacchetto di provvedimenti e ha sostenuto i piani climatici della Commissione europea, con il beneplacito della coalizione al governo. Successivamente, però, il piccolo partner liberale è insorto, ed è sembrato che non volesse più saperne della posizione precedente. Lindner ha infatti dichiarato che la Germania non può accettare un divieto totale alla costruzione di nuove auto con motori a combustione.
Il Partito liberale è una delle voci della imprenditoria tedesca: non sorprende quindi la posizione assunta da Lindner, anche se nel programma elettorale, sottoscritto a suo tempo da tutte le forze della coalizione, è scritto a chiare lettere che la Germania desidera uscire dai combustibili fossili entro il 2030, “promuove l’auto elettrica e si propone l’obiettivo di avere almeno quindici milioni di veicoli elettrici in circolazione per l’anno 2030”. Lindner, in un intervento di fronte a una platea di imprenditori, ha ribadito che, a suo avviso, la completa proibizione delle auto a combustione sarebbe stata un errore, e ha rievocato nostalgicamente la sua prima Porsche, acquistata usata con i lavoretti da studente (altri tempi, certo… nell’Italia attuale si sarebbe comprato al massimo un monopattino), insistendo sulla possibilità di un rinnovamento tecnologico dei motori a combustione.
Dietro il leader liberale, è facilmente individuabile quella componente della industria tedesca che vede con preoccupazione la tendenziale e progressiva eliminazione dei motori a combustione, sia per la complessità della ristrutturazione delle filiere produttive, sia per il giro di interessi economici legato ai combustibili fossili. La risposta, da parte dell’alleato verde, non si è fatta attendere e Steffi Lemke, ministro dell’Ambiente, ha energicamente ricordato a Lindner gli accordi precedentemente presi, mentre nel partito si moltiplicavano le manifestazioni di insofferenza nei confronti dei liberali. La disputa all’interno della coalizione, che Lemke e Lindner hanno scatenato con le loro dichiarazioni, ruota in buona sostanza non solo intorno alla proibizione delle auto a combustione, ma anche intorno alla possibile introduzione di nuovi carburanti sintetici, ecologici e rispettosi del clima. I liberali la considerano una tecnologia del futuro, la cui introduzione dovrebbe rendere possibile l’uso dei motori a combustione per un tempo più lungo rispetto a quanto non sia previsto dal pacchetto europeo.
Il ministro delle Finanze, per dare maggiore forza alle sue affermazioni, ha fatto ricorso anche a un argomento economico, sottolineando la necessità di tornare a rispettare il freno all’indebitamento a partire dal 2023. Secondo Lindner, la sopravvivenza stessa della coalizione “semaforo” dipende anche da questa attenzione al contenimento della spesa. Per questo motivo, il ministro delle Finanze aveva già in precedenza proposto di non sovvenzionare più l’acquisto di auto elettriche. Il sussidio, noto anche come bonus ambientale, avrebbe dovuto rimanere in vigore – in una versione modificata – fino al 2025. I liberali premevano invece per una tempestiva abolizione dei premi di acquisto per le auto elettriche, in quanto non ci si poteva più permettere “sussidi sbagliati”.
Ora anche il cancelliere Olaf Scholz sembrerebbe approvare questo piano di tagli – probabilmente per mantenere la pace nella coalizione. Per i verdi, però, si tratterebbe di un altro duro colpo, soprattutto vista la vera e propria tempesta suscitata nel partito dalle sortite pro-combustione di Lindner.
Certo, ha un po’ stupito la posizione assunta da Scholz che, mentre infuriava la polemica tra i due alleati, ha rilasciato una dichiarazione ambigua secondo cui “anche dopo il 2035 bisognerebbe permettere la circolazione di veicoli a combustione, purché prodotti con tecnologie che rispettino i criteri di emissioni zero di CO2 e siano alimentati da combustibili ecologici”. La discussione si è poi andata estendendo, ed è intervenuto a sostegno di Lindner il ministro dei Trasporti, Volker Wissing, anch’egli liberale, che ha dichiarato che l’adesione al pacchetto di proposte europeo non era da darsi per scontata e la questione era ancora tutta “sul tavolo”. In seguito, i toni più accesi sono rientrati, anche perché è stato faticosamente raggiunto un accordo da produrre a livello europeo.
Il segretario di Stato, Sven Giegold (dei verdi), che ha condotto i negoziati in Lussemburgo per conto del ministero federale dell’Economia, ha cercato di ridimensionare la polemica tedesca, sostenendo che l’abbandono progressivo del motore a combustione interna sia soltanto “una piccola – e in Germania completamente sopravvalutata – parte del pacchetto”. Molto più importanti, ha detto, sono gli altri grandi risultati dei complessi negoziati. “Questo è il più grande pacchetto climatico dell’Unione europea che sia mai stato messo in cantiere”, ha twittato Giegold. Gli Stati membri hanno approvato tutte le parti del pacchetto clima Fit for 55, anche se alcuni Paesi, tra cui Italia e Spagna, premevano per una scadenza al 2040 anziché al 2035.
È stato così deciso infine che, in linea di principio, dopo il 2035 potranno essere immatricolati solo veicoli a emissioni zero. Nel frattempo, la coalizione ha raggiunto un accordo su una proposta coordinata, secondo la quale non solo si conferma la graduale eliminazione dei veicoli a combustione interna a partire dal 2035, ma si chiede anche alla Commissione europea di consentire l’omologazione di veicoli a combustione interna alimentati con carburanti ecologici a zero emissioni. Si tratta, evidentemente, di una scappatoia per dare al motore a combustione interna almeno una possibilità formale; e la Commissione si è riservata di esaminare se, e in quale modo, i nuovi motori a combustione interna potrebbero continuare a essere immatricolati, nel caso fossero alimentati esclusivamente con carburanti ecologici. Lindner vede, in questa decisione della Commissione, un successo per la sua richiesta di “apertura tecnologica”, che fa segnare un punto a suo favore, mentre si diffonde, tra gli ambientalisti, una certa indignazione per le ambiguità della posizione tedesca, con l’associazione ecologista Verkehrsclub Deutschland che ha definito la decisione: “una scappatoia per i fautori della combustione”.
Per contro, allo scopo di ridimensionare la forza dell’argomentazione economica messa in campo da Lindner, il ministro dell’Economia, Robert Habeck (dei verdi), starebbe considerando un sistema di bonus-malus per la tassa automobilistica. Questo potrebbe rendere superfluo il cosiddetto bonus ambientale, e potrebbe contribuire a pacificare le acque nella coalizione. Anche perché il mondo dell’ambientalismo tedesco ha a lungo coltivato l’idea di un modello ideale di tassazione, in cui le auto ad alte emissioni dovrebbero pagare più tasse, mentre le auto elettriche potrebbero ricevere un sussidio.
Un ulteriore contributo, volto a raffreddare una base in ebollizione per il parziale “tradimento” di uno dei punti del programma di governo, è venuto da Michael Bloss, portavoce dei verdi, che ha solennemente affermato: “La fine del motore a combustione interna alimentato da combustibili fossili sta finalmente arrivando”, anche se il segretario di Stato, Giegold, ha dovuto ammettere: “Per salvare il nostro pianeta, dobbiamo agire in modo ancora più deciso”.
Appare evidente come nella disputa sul motore a combustione si siano scontrate due scuole di pensiero e due diverse anime della coalizione semaforo: la Spd e i verdi, con i loro scienziati e teorici, con il popolo ambientalista, e i liberali con il loro seguito di imprenditori e tecnici. Certo, ha avuto luogo, e non è ancora terminato, un balletto complesso, con un gioco delle parti spesso condotto sul filo del rasoio, sospeso tra politica ed economia, e in cui la coalizione di governo è parsa spesso vacillare. Viene da chiedersi, a questo punto, quanto rimanga di tutto quello che era stato affermato nel programma comune, e quanto reggerà la coalizione alle sfide che si profilano per il prossimo autunno. Non a caso, qualche giorno fa, la conservatrice “Frankfurter Allgemeine” faceva dello spirito facile su quanto servano gli accordi di programma nelle coalizioni di governo.