Mesi fa si sparse la notizia che alcuni buontemponi si divertissero a organizzare delle feste allo scopo di prendersi il virus. Sembravano matti, ma avevano solo anticipato i tempi. Siamo ora tutti immersi in un Covid party permanente e generalizzato, molto simile a quello che caratterizzò la “folle estate” del 2020 – per citare l’infettivologo Galli, che la definì così. Allora si ebbe uno spaventoso aumento dei contagi a partire dalla fine di agosto; adesso siamo invece nel pieno dell’ondata in luglio, e già da più di un mese, senza che si prenda alcun provvedimento. Ridicola la proposta – peraltro tardiva – di vaccinare gli ultrasessantenni con la quarta dose di un vaccino ormai quasi del tutto inefficace. Finché non saranno disponibili vaccini adeguati alle ultime varianti (che si vanno sviluppando secondo una pressione selettiva che avvantaggia le mutazioni in grado di permettere al virus di “farsi dimenticare” dagli anticorpi), l’unica decisione sensata da assumere è quella di reintrodurre le restrizioni: obbligo delle maschere di protezione ovunque, anche all’aperto, capienza dimezzata nei locali, distanziamento, divieto di assembramenti e di riunione tra più di sei persone – e soprattutto controlli con multe salate.
La faccenda non riguarda soltanto l’Italia, è vero: il virus sta devastando l’intero continente, e sarebbe tra i compiti dell’Europa emanare delle direttive univoche in materia. Ma l’Italia si distinse, all’epoca del governo Conte 2, per avere preso – dopo lo smarrimento iniziale – delle misure draconiane contro la pandemia, che furono poi seguite, non senza incertezze, dagli altri Paesi. Ora dovrebbe dare di nuovo l’esempio. La salute collettiva non può essere messa a repentaglio, e non è accettabile il numero di quasi un centinaio di morti al giorno, solo perché il circo delle vacanze deve continuare a girare indisturbato. Anche se oggi – un po’ per via di vaccini sia pure invecchiati, e un po’ perché l’ultima variante del virus colpisce più le prime vie respiratorie che i polmoni – la situazione è meno grave di allora, non si può dire che non abbia una sua gravità. Del resto, nessuno propone di ritornare a forme di confinamento puro e semplice, ma solo di reintrodurre quelle restrizioni in vigore fino a poco tempo fa, quando i vaccini erano ancora pienamente attivi. Perché questo è il paradosso: si sono eliminate tutte le precauzioni dopo diversi mesi dalla famosa “terza dose”, lasciando così i cittadini del tutto scoperti dinanzi all’infezione.
Un altro paradosso è il seguente: proprio mentre cade Boris Johnson – il pagliaccio che iniziò la sua attività giornalistica con un imbroglio, facendo passare per autentica una citazione inventata di sana pianta –, la sua linea vince. Non fu lui, prima di ammalarsi a sua volta, a sostenere che si sarebbe raggiunta una “immunità di gregge” facendo circolare il virus? L’ex premier britannico ha una visione perfettamente social-darwinista della sanità pubblica: crepi chi deve crepare. Ma neppure su queste basi, più ciniche che pseudoscientifiche, il credo liberista riesce ad avere una qualche ragione. I fatti stanno dimostrando che, dinanzi a un coronavirus dalla incredibile vitalità – è riuscito ad adattarsi perfino a temperature infernali, come quelle di questi giorni –, non c’è tentativo di rendere endemica la pandemia che tenga. Il virus è troppo mutevole per poterlo addomesticare facendo sviluppare degli anticorpi che lo tengano a bada. Piuttosto, è necessario un incessante “braccio di ferro”: da un lato, le restrizioni e le vaccinazioni (con preparati adeguati); dall’altro, il virus e le sue mutazioni. È anche possibile che, alla lunga, si riesca ad arrivare a una relativa neutralizzazione del virus – ma a questo risultato si può puntare solo impegnandosi a fondo nel contrasto, non arrendendosi e dandogli partita vinta.
Intanto, colpisce ma non sorprende il completo silenzio politico sulla questione. Neppure Conte e i suoi 5 Stelle, che pure avrebbero posto Draghi di fronte a delle scelte su alcuni punti qualificanti, hanno pensato di agitare il tema. Tutti temono – con piglio più bottegaio di quei bottegai che protestavano rumorosamente alcuni mesi fa – di guastare le feste dei loro elettori potenziali. Niente da fare: proprio su argomenti come questo, si può vedere che cosa sia lo spirito centrista e moderato diffuso, più o meno demagogico, caratteristico di pressoché tutte le formazioni politiche oggi in parlamento.
Solo ci sarebbe il ministro Speranza, esponente di un piccolo gruppo di sinistra, che troppe “speranze” di ritornare in parlamento non ne ha – se non sotto l’ombrello fornito dal Pd. Ebbene, il ministro della Salute (mediocre espressione consolatoria, introdotta a suo tempo dal berlusconismo, al posto di quella classica di “Sanità”) potrebbe e dovrebbe impegnarsi sul tema, smuovendo le acque, semmai alzando un po’ la voce, all’interno del Consiglio dei ministri. Considerate le scarse prospettive elettorali del suo gruppo, non le sembra il caso, caro ministro, di darsi da fare per porre, se non altro – con uno scatto di dignità e di passione civile –, la questione di un rinnovato contrasto alla pandemia?