Da poco trionfalmente rieletto al primo turno, il sindaco di Genova, Marco Bucci, ha trovato alcuni ostacoli imprevisti ad attenderlo già nelle prime settimane del suo nuovo mandato. Oggi, 5 luglio, in un consiglio comunale che si preannuncia burrascoso, verrà avanzata l’istanza sulla sua ineleggibilità durante la prima seduta, in cui, come di consueto, si approva l’elezione del sindaco. Gli viene contestato di avere fatto la campagna elettorale mentre era ancora a tutti gli effetti anche commissario straordinario del governo per la ricostruzione del viadotto Polcevera. Subito dopo il crollo del ponte Morandi, vista la necessità di garantire aiuti alla popolazione, di ricostruire il viadotto e di ripristinare la viabilità sul territorio, Bucci è stato nominato commissario per la ricostruzione, con una durata dell’incarico inizialmente fissata a un anno. Con successivi decreti la carica è stata rinnovata altre tre volte, ed è stata infine fissata con una scadenza “non oltre la data del 31 dicembre 2024”. Non risulta però che Bucci si sia dimesso dalle funzioni di commissario straordinario alla ricostruzione entro il giorno fissato per la presentazione delle candidature. Peraltro la legge parla chiaro: il testo unico degli enti locali, all’articolo 60, stabilisce che non siano eleggibili a sindaco i commissari di governo che operino nel medesimo territorio.
L’istanza è stata presentata da un gruppo di cittadini, tra cui spiccano personalità politiche, amministratori e avvocati. L’idea alla base dell’istanza è che il sindaco abbia sfruttato la carica di commissario per confondere gli elettori, facendo coincidere il suo primo mandato elettorale con la sua azione quale “uomo del ponte”. Non si è dimesso dalla carica entro il giorno fissato per la presentazione delle candidature, il che avrebbe evitato la sovrapposizione delle due funzioni svolte nel corso della campagna elettorale. Esiste un precedente: Giuseppe Sala, che si trovava in una situazione analoga nel corso della campagna elettorale milanese del 2016, si dimise correttamente da commissario il giorno prima della presentazione delle candidature; nonostante questo, venne comunque contestato dalle destre nel giorno del suo insediamento. Bucci è accusato di avere violato le regole del gioco, speculando sul duplice ruolo svolto, e quindi sarebbe stato ineleggibile. C’è chi adombra addirittura il possibile scenario di una sua destituzione, con la città che verrebbe governata dal vicesindaco. Ma corre voce che l’opposizione in Consiglio comunale si asterrà sulla richiesta.
Bucci appare dunque tranquillo: esistono, del resto, sia cavilli burocratici riguardo alla denominazione precisa dell’incarico da lui ricoperto – che presenta un aggettivo in più “commissario straordinario di governo” rispetto a quanto letteralmente riportato nel testo di legge –, sia un’interpretazione non chiarissima da parte della Corte costituzionale della questione della ineleggibilità. Quale che sia l’esito dell’istanza, rimane il fatto che Bucci ha giocato in maniera spregiudicata, per tutto il tempo del suo primo mandato, sul suo duplice ruolo di sindaco e di commissario straordinario, senza preoccuparsi troppo di mostrarne la diversa origine e funzione, frequentemente mescolando nello stesso calderone propagandistico le risorse e i progetti derivanti dal mandato governativo di commissario, e quelli che provenivano dal mandato elettivo di sindaco.
Vista però la portata del suo successo, e il solido appoggio di cui gode, supportato com’è da una parte della cittadinanza che vede in lui una figura rassicurante, è difficile che si riesca a mettere realmente in discussione la sua rielezione.
Nel frattempo, però, si è profilata un’altra tegola, di natura completamente diversa. Lo strombazzato e molto discusso megaprogetto per la nuova diga foranea, che permetterebbe l’attracco nel porto a navi molto più grandi di quelle attuali, e che dovrebbe fare confluire una quantità enorme di denaro pubblico in città, pare fare acqua da tutte le parti. Il primo a prendere le distanze è stato il responsabile della progettazione, che ha stimato un costo almeno doppio rispetto a quanto precedentemente preventivato per la realizzazione, e si è dimesso lo scorso 29 giugno; le due principali cordate che concorrevano per l’appalto si sono a sorpresa entrambe ritirate, e l’appalto da 925 milioni di euro è andato deserto.
La cosa è grave perché l’opera è strettamente legata al Pnrr, di cui è diventata uno dei simboli, con tanto di visita di Draghi, e per non perdere i finanziamenti andrebbe ultimata entro il 2026. Sia la cordata composta dal raggruppamento WeBuild, Fincantieri, Fincosit e Sidra, sia quella concorrente Eteria (che fa capo a Gavio-Caltagirone), hanno comunicato che le condizioni economiche a base di gara sono “del tutto inadeguate, considerata anche la significativa allocazione di rischi non quantificabili in capo all’offerente e i tempi di realizzazione estremamente contenuti”.
La Authority del porto, intanto, insiste sulla necessità di rivedere il progetto, con un suo parziale ridimensionamento, mentre lo smacco ha scatenato un conflitto rilevante nei palazzi del potere, con un gioco delle parti che pare vedere su posizioni distantissime i costruttori e il ministro Enrico Giovannini, il quale pure aveva garantito che avrebbe coperto gli eventuali costi aggiuntivi per la realizzazione dell’opera. Si parla però di cifre necessarie molto ingenti, intorno al 30% in più rispetto a quanto stimato: il che rende tutto molto più complicato sotto il profilo del reperimento delle risorse. Intanto il cronoprogramma incombe, e rischia di non essere rispettato, compromettendo così del tutto il progetto, con buona pace dell’enorme battage pubblicitario che ha finora accompagnato l’opera.
Il sindaco ha prontamente dichiarato: “Noi andremo avanti in ogni caso”, anche se per il momento non si capisce come e in quale direzione; e certo, sulla questione, egli si gioca una parte non irrilevante della sua popolarità. A minare quindi il secondo mandato di Bucci, sembrano in questa prima fase molto più le ricadute negative della sua “bulimia del fare”, cui abbiamo già accennato in precedenza (vedi qui e qui), di quanto non possano le mosse di strategia politica e le istanze popolari, pure legittime e in un certo senso dovute, riguardo alla sua ineleggibilità.