Riunitosi a Cortona con la sua corrente di AreaDem, Dario Franceschini ha detto una cosa che non ci piace e un’altra che al contrario ci piace molto. Ha ammonito Giuseppe Conte e i suoi di non azzardarsi a fare una crisi di governo, neppure a distinguersi passando all’appoggio esterno, perché ciò significherebbe la fine di ogni possibilità di alleanza. Perché poi? Una forza politica, pur responsabile, ha il diritto di rimarcare le proprie posizioni – sulla guerra, sul cosiddetto reddito di cittadinanza, sul salario minimo –, senza per questo dover finire in una specie di purgatorio. È vero che, distinguendosi, i 5 Stelle contiani potrebbero rubare qualche voto al Pd – ma di più potrebbero sottrarne all’astensionismo e a una protesta che, nel loro elettorato, si volgerebbe facilmente a destra. Tanto più che, volendo mettersi un po’ nei panni di Conte, lui ha la necessità, a maggior ragione dopo la scissione subita, di rivendicare una propria autonomia e una qualche continuità di ispirazione, se si pensa alla difficoltà di traghettare una formazione, già “antipolitica”, verso una collocazione progressista moderata a tinte – anche in questo caso – sostanzialmente di centro.
La cosa che ci piace molto, invece, è che Franceschini abbia aperto a un mutamento della legge elettorale in senso proporzionale. Ha detto: “Sarà difficile cambiare la legge elettorale ma dobbiamo provarci fino in fondo”. Probabilmente ha inteso svegliare il segretario Enrico Letta, che sembra dormire sonni tranquilli al riguardo (e non solo). Come abbiamo già avuto occasione di scrivere (vedi qui), il “campo largo” avrebbe modo di articolarsi molto meglio, e gli elettori sarebbero più motivati a uscire dall’apatia, se a ognuno di essi fosse data la possibilità di scegliere la propria lista, ciascuna con un programma ben definito da negoziare poi con gli alleati anche sulla base dell’esito delle votazioni. Inoltre, aspetto nient’affatto secondario, una proporzionale pura, sia pure con uno sbarramento, sarebbe la legge elettorale più in linea con il dettato costituzionale.
Da quel politico di scuola democristiana che è (nonostante Francesco Cossiga una volta avesse detto di lui che è piuttosto un cristiano-sociale), Franceschini è il vero cuore pulsante del Pd. Tutti possono tramontare, i segretari bruciarsi (sebbene anche lui lo sia stato per un breve periodo), ma Franceschini no. È l’anima di quel partito manovriero, privo di una precisa identità, di vocazione ministeriale, che fin dall’inizio si è voluto che fosse. Un contenitore di potentati piccoli e grandi: una sorta di nuova Dc, insomma, ma di un centrismo appena leggermente spostato a sinistra.
Non che il nostro non abbia mai fatto errori. Fu proprio lui all’origine delle fortune di Renzi, appoggiandolo nella scalata alla segreteria del partito. Senza il suo endorsement difficilmente il rampante giovinotto di Rignano sull’Arno ce l’avrebbe fatta. Ma Franceschini, alla fine, dovrà prendere atto che “Renzi per noi è diventato un problema” (più o meno testuale).
È ancora Franceschini, tuttavia, a tessere in parlamento la tela che porterà, nell’estate del 2019, al governo Conte 2, con l’alleanza, fin lì considerata pressoché impossibile, tra il Pd e i grillini – in quel momento ancora tali – usciti dalla disastrosa esperienza con la Lega. Se la pandemia, che di lì a qualche mese sarebbe scoppiata, nella sua prima fase poté essere gestita con accortezza, nonostante il terribile smarrimento iniziale, lo si deve in parte anche a Franceschini.
Abbiamo, come si vede, una certa considerazione dell’uomo. E saremmo perfino inclini a perdonargli la debolezza, tra una cosa e l’altra, di avere scritto e pubblicato qualche romanzo – se però ci spiegasse perché mai Conte dovrebbe essere espulso da qualsiasi alleanza se passasse all’appoggio esterno nei confronti del governo Draghi. Non sarebbe piuttosto un modo per differenziare e modulare un’offerta politica? Il “campo largo” avrebbe bisogno di essere davvero tale, cioè di avere al suo interno qualcosa di differente dal puro e semplice draghismo di governo. Non lo diciamo neppure per sfiducia patriottica nei confronti di Draghi, per carità, ma per un’elementare esigenza di articolazione di quello stesso “campo”. Una legge proporzionale, ammesso che ci si arrivi, potrebbe aiutare in questo senso, e proprio con essa avrebbe un significato maggiore una differenziazione dei 5 Stelle contiani, che potrebbe attrarre di più una parte degli elettori. E del resto – anche se le cose dovessero restare maledettamente come sono, con il sistema attuale che costringe ad alleanze elettorali preventive, con scarsa possibilità di scelta –, anche in questo caso, se i contiani, dall’interno di una coalizione in cui è assente una componente autonoma di sinistra, strizzassero un po’ l’occhio agli oppositori di Draghi, non sarebbe un vantaggio per tutti?