Siamo al paradosso. Da un lato, vogliamo difendere i valori democratici e l’Occidente dall’aggressione russa che potrebbe non fermarsi all’Ucraina, arrivando fino a minacciare i nostri confini; dall’altro, non esitiamo ad avvilire i nostri stessi principi consegnando nelle mani di un dittatore esuli politici e rifugiati curdi in Svezia e in Finlandia, entrambe desiderose di entrare nella Nato per avere maggiori garanzie di difesa da Mosca. È questa, in sostanza, la cinica filosofia che caratterizza l’accordo di Madrid, grazie al quale la Turchia, che aveva posto il veto all’ingresso dei due Paesi nell’Alleanza atlantica, lo ha ritirato riuscendo a ottenere quello che voleva.
La decisione è stata presa nel corso di una riunione che ha portato alla firma di un memorandum tra il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, il presidente turco Recep Erdoğan, il presidente finlandese Sauli Niinistö e la premier svedese Margaret Andersson. Anche se non l’unico, il punto principale riguarda la fine dell’accoglienza accordata, dai due Paesi nordici, agli esuli curdi, con tanto di estradizione ad Ankara, dove saranno sottoposti a processi possiamo immaginare con quali garanzie, dando così un altro colpo alla già complicatissima e sofferta condizione di questa forte minoranza – solo in Turchia i curdi sono oltre dodici milioni – sacrificata, come all’inizio del secolo scorso, nel nome di interessi più forti.
Il governo di Erdoğan ha reso noto con entusiasmo il risultato delle trattative. “Abbiamo avuto quello che volevamo”, ha riferito un comunicato di Ankara, comprese “le garanzie di cooperazione contro i curdi del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e i suoi alleati”: il che di fatto significa abbandonare al loro destino tutti coloro che si battono per la causa di questo popolo, e che direttamente o indirettamente hanno contatti con l’organizzazione di Abdullah Öcalan, nelle carceri turche dal lontano 1999, dopo aver avuto l’illusione di poter restare in Italia come esule politico. Fa poi sorridere – se non fosse drammatica – la rassicurazione del segretario generale della Nato Stoltenberg, secondo il quale “l’accordo sulle estradizioni, rispetterà gli standard di giustizia europei”.
Immediata è arrivata la richiesta a Stoccolma e a Helsinki, da parte del ministro della Giustizia turco Bekir Bozdağ, dell’estradizione di 33 membri del Pkk e di altri esponenti della rete Fetö, ritenuta responsabile del tentato golpe del 2016. Come faranno questi due Paesi, da sempre pronti ad accogliere esuli e dissidenti, a far digerire a chi ha ancora un minimo di sensibilità l’immagine di uomini e donne portati con la forza in aeroporto e spediti nelle carceri turche, resta al momento un mistero. E come faranno a giustificare questo orrendo compromesso a quelle migliaia di curdi – 85mila in Svezia e 15mila in Finlandia – che da tempo si sono integrati fino al punto che, a Stoccolma, ci sono sei deputati curdi eletti al parlamento? Forse espelleranno anche i parlamentari, la cui esistenza fa inorridire Erdoğan?
Per convincere la Svezia ad accettare le richieste di Ankara, sarebbero state ritirate fuori dal cassetto anche le ipotesi sull’omicidio del premier svedese Olof Palme, nel 1986, per mano di organizzazioni curde. Delitto sulla cui matrice era stata presa in considerazione una pista curda poi abbandonata, ma che può tornare utile far riemergere all’occorrenza. Sia pure in modo controverso, nel testo si fa riferimento all’aiuto finnico-svedese alle milizie curde Ypg/Ypj, anche in termini di addestramento nella lotta contro l’Isis, con il quale Erdoğan, invece, ha sempre avuto un rapporto ambiguo. I curdi del Rojava restano un baluardo contro l’espansione degli integralisti – ma anche questo rischia di diventare una merce di scambio con un Paese che tiene continuamente sotto scacco il vecchio continente, a cominciare dalla questione degli immigrati.
Ma non è solo questo il punto che ha permesso di superare il rifiuto turco all’ingresso dei due Paesi nella Nato. C’è di mezzo l’embargo sulle armi, che Stoccolma e Helsinki misero in atto nel 2019, nei confronti della Turchia, all’indomani dell’attacco dell’esercito di Ankara nel Nord della Siria per occupare zone di confine fino a quel momento controllate dai curdi; embargo ora eliminato. “La Turchia, la Finlandia e la Svezia confermano che ora non esistono più embarghi nazionali sulle armi”, si legge nel testo dell’accordo firmato alla vigilia del summit. Non manca anche un riferimento all’embargo posto dagli Stati Uniti, a causa dell’acquisto da parte turca del sistema missilistico russo S-400, segno evidente dell’equilibrismo politico di Ankara sullo scacchiere internazionale.
Non si è fatta attendere la protesta di quei curdi presenti all’interno delle istituzioni svedesi. Per la parlamentare Amineh Kakabaveh “questo è un tradimento del governo svedese,dei Paesi della Nato e di Stoltenberg, che ingannano un intero gruppo che ha liberato se stesso e il mondo intero da Daesh. Soprattutto quando si tratta della lotta delle donne, che la Svezia afferma di sostenere”. La deputata curda ha altresì ricordato l’inutile lavoro finalizzato a un accordo con il governo a sostegno di Ypg e del Pyd. La denuncia di Kakabaveh descrive bene l’ipocrisia e il cinismo che stanno dietro a un accordo che, oltretutto, non aiuta di certo una ripresa della trattativa tra russi e ucraini. “Si abbandona quanto conquistato, a causa di un dittatore – denuncia la parlamentare –, e ci si allea con un altro dittatore”.
Ora Kakabaveh vuole chiedere di votare la sfiducia al governo di Magdalena Andersson. Se qualcuno pensava scioccamente che, caduto il muro di Berlino, la storia fosse finita, ecco un’ulteriore dimostrazione che le cose invece cambiano in continuazione, come ha dimostrato la trattativa della Svezia e della Finlandia per entrare nella Nato. Paesi che non hanno esitato a buttare al macero valori e principi, gettando benzina sul fuoco di una guerra orrenda che rischia di terminare alle calende greche.