Non si dormono sonni tranquilli al Palazzo della Moncloa, residenza del governo a Madrid. Lo scorso 19 giugno, in Andalusia – la regione più popolosa del Paese con i suoi otto milioni e mezzo di abitanti –, il risultato delle elezioni anticipate desta più di una preoccupazione per il governo nazionale di sinistra, presieduto da Pedro Sánchez, composto dal Psoe (Partito socialista operaio spagnolo) e da Podemos. Anche se le legislative sono relativamente lontane – autunno 2023 –, i 58 seggi su 109 conquistati dal Partito popolare di Juanma Moreno – equivalenti al 43% – contro i 26 del 2018 sono un risultato clamoroso che consente al principale partito di destra di governare facendo a meno dell’imbarazzante sostegno dei neofranchisti di Vox, capeggiati da Macarena Olona (quelli tanto amati dalla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni), che finora aveva però garantito un appoggio soltanto esterno al governo andaluso.
Vox aumenta comunque i propri seggi da 12 a 14, che tradotto significa centomila voti in più, mentre Ciudadanos, la formazione liberale che aveva ottenuto nelle scorse elezioni 21 seggi, scompare dal parlamento andaluso. Con sullo sfondo una partecipazione al voto di circa il 60% dell’elettorato, i popolari arrivano a un milione e mezzo di consensi, il doppio delle scorse elezioni; mentre i socialisti di Juan Espadas passano da un milione a meno di novecentomila, conquistando 31 seggi contro i 33 della volta scorsa, e fermandosi al 24%. Divisa e sconfitta la sinistra radicale di Inma Nieto con Podemos, Izquierda Unida e Más País, che ottiene solo 5 seggi, mentre Teresa Rodríguez, con Adelante Andalucía, ne conquista due. Una frattura che andrà evitata nelle prossime elezioni politiche, pena ulteriori difficoltà per Sánchez.
La storia di Moreno è controversa. Laureato in istituzioni internazionali, 52 anni, si era insediato nel palazzo della presidenza regionale a Siviglia già nel 2018, spodestando per la prima volta i socialisti, malgrado abbia conseguito il peggior risultato nella storia del Pp locale (20,8% dei voti e 26 seggi), costringendo il partito che fu di Aznar e Rajoy a stringere appunto un’alleanza con l’estrema destra. Ma poi si è arrivati alle elezioni anticipate per le divisioni sempre più importanti all’interno della coalizione: una scelta diventata inevitabile dopo la bocciatura della legge di bilancio del 2022.
La regione nota ai turisti per le splendide città che ospita – Siviglia, Granada, Cordova – è sempre stata un feudo socialista, governata ininterrottamente dal Psoe dal 1982, quando si sono svolte le prime elezioni regionali dopo la fine della dittatura, al 2018. I popolari usciti da questa tornata elettorale appaiono decisamente più centristi di quelli precedenti, capaci di inaugurare una nuova fase politica che li distanzierebbe dai nostalgici del caudillo, presenti, sia pure in forma più soft, anche all’interno dello stesso Pp. Un volto nuovo è quello del leader nazionale del partito, Pablo Casado, che secondo alcuni osservatori avrebbe permesso di attirare una parte dell’elettorato socialista, intorno al 10%.
Dunque un campanello d’allarme per un governo che certamente – come del resto tutti gli altri in questa fase – si è trovato a fronteggiare prima la pandemia, poi la guerra con il conseguente aumento della criticità di tutti i parametri economici. L’inflazione, nel mese di marzo, viaggiava intorno al 9,8%, un incremento inatteso, dovuto – secondo il ministero dell’Economia spagnolo – proprio alla guerra in corso tra la Russia e l’Ucraina. In calo – anche ciò in consonanza con il resto dell’Europa – la crescita economica. La Banca di Spagna ha ridotto le sue previsioni al 4,5% per quest’anno, 0,9 punti percentuali in meno rispetto alle precedenti stime di dicembre (5,4%). Il che interrompe il rialzo dei mesi precedenti in maniera sorprendente.
Colpisce favorevolmente, invece, la diminuzione del tasso di disoccupazione. Secondo quanto riportato lo scorso maggio dal quotidiano “La Stampa”, che a sua volta ha citato fonti del ministero del Lavoro iberico, a fine maggio, i senza lavoro registrati presso gli uffici del Servizio pubblico statale per l’impiego (Sepe) erano 2.922.991, la cifra più bassa dal novembre 2008. La disoccupazione è diminuita di 99.512 unità (-3,29%), mentre le assunzioni effettuate a maggio sono aumentate di 95.287 unità (6,17%) rispetto allo stesso mese nel 2021. Dati positivi anche per quanto riguarda la disoccupazione femminile, diminuita di 47.403 unità (-2,65%), mentre quella maschile di 52.109 unità (-4,22).
Dati contraddittori, insomma, quanto prevedibili, che – malgrado il voto andaluso – non condannano a morte il governo più a sinistra della Spagna post-franchista. Il successo riportato nel congresso del 21 ottobre scorso, di cui abbiamo parlato su queste pagine nell’articolo a firma di Aldo Garzia, vinto con la parola d’ordine dell’unità a sinistra, appare però in forse secondo i sondaggi. Secondo il giornale “El Confidencial”, Psoe e Pp si posizionano testa a testa al di sotto del 30%. Preoccupante l’aumento di Vox, che secondo alcuni istituti sfiorerebbe il 20%; mentre la sinistra radicale di Unidas Podemos non supererebbe il 10%. Quasi scomparso Ciudadanos, dato al 2%. Per la coalizione di sinistra i numeri non sarebbero confortanti. Qualora fossero confermati, potrebbe tornare alla carica l’ala più moderata del partito, quella che nel 2016 predicava l’astensione nei confronti del governo di Rajoy. Il voto non è esattamente dietro l’angolo, ma, qualora questo quadro venisse confermato, la sinistra europea dovrebbe fare a meno di una delle esperienze più avanzate degli ultimi decenni.