Chi sia Matteo Zuppi lo dice la sua biografia. Chi sarà il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana lo diranno le sfide che dovrà affrontare e il modo in cui le affronterà. Tra queste, c’è anche quella della politica. Se ne dovrà interessare anzitutto ex ratione officii. Il presidente della Cei non può disinteressarsi di ciò che avviene nel Paese. Non sempre è stato così. In passato era la S. Sede a interessarsi direttamente dell’Italia attraverso il segretario di Stato, il sostituto, il segretario per gli Affari ecclesiastici straordinari… Qualche volta anche il papa. Poi le cose sono cambiate con la creazione della Conferenza episcopale italiana, e ancor più dopo il Concordato del 1984. Ma non del tutto: il cardinale Bertone è stato piuttosto attivo sulla scena italiana, e recentemente anche il cardinale Parolin ha fatto alcuni interventi su cattolici e politica. In tempi recenti, inoltre, tra i presidenti della Cei c’è chi si è occupato di più e chi di meno di politica italiana: il cardinale Ruini, per esempio, ha avuto un ruolo molto più attivo di tutti gli altri. Per Zuppi, dunque, la strada è tracciata solo in parte.
Qualcosa di ciò che farà e dirà si può intuire già da ora. Di certo ha un vivo interesse per aree del mondo come l’Africa, per le questioni dell’immigrazione, per la pace nel mondo. Ma, come ha fatto capire dalla sua prima conferenza stampa, riguardo alle grandi questioni internazionali seguirà il papa e terrà conto di ciò che dice il segretario di Stato. Lo mostrano le sue parole sull’Ucraina. È probabile che interverrà in modo più autonomo sulle questioni di politica interna che riguardano i poveri e gli emarginati, dagli anziani ai senza fissa dimora, peraltro in spontanea sintonia con papa Francesco. Ma alle forze politiche italiane interessa soprattutto altro, e cioè come il cardinale Zuppi si muoverà nei loro confronti.
Nel clima complessivamente favorevole nei confronti della sua elezione, in molti settori diversi della società italiana, queste forze sono state piuttosto prudenti. Indubbiamente, il riserbo verso un passaggio interno alla Chiesa è apprezzabile, come lo è l’astensione da tentativi di “impadronirsi” del neoeletto. Forse, però, si tratta soprattutto di calcolata prudenza: prendersi tempo per studiare il neoeletto e vedere come meglio utilizzarlo per accrescere i consensi verso il proprio partito. Tale inclinazione è accresciuta da una qualche difficoltà a “classificare” politicamente Zuppi. “Prete di strada” si è ripetuto fino alla noia – e dunque “popolare”, “di sinistra”, “aperto”, “anti-istituzionale” ecc. Ma nella prima conferenza stampa ha mostrato che sa prendere posizioni impopolari. Ha deluso, per esempio, chi pretendeva che la Chiesa italiana seguisse sulla questione degli abusi la strada praticata da altre conferenze episcopali delle “indagini indipendenti” (che poi nei fatti si sono rivelate né indipendenti né rigorose). E quanto all’“anti-istituzionale” ha fatto un sorprendente elogio del diritto canonico e della sua importanza, sottolineando di avere sbagliato quando la pensava diversamente.
Dunque, un conservatore che si nasconde dietro i panni del progressista? Neanche questo è vero. Matteo Zuppi è davvero un uomo aperto, ma non nel senso comune del termine, bensì di aperto all’imprevedibile. Pochi mesi fa, la sua omelia ai funerali di Davide Sassoli è stata ispirata da un sincero e affettuoso riconoscimento delle virtù, politiche e morali, dell’amico. Qualcuno, tuttavia, l’ha interpretata anche come espressione di sintonia verso la tradizione cattolico-democratica (che si sta rivelando la cultura politica più longeva della storia repubblicana). Ciò significa vicinanza al partito erede di tale tradizione (insieme con altre)? Non è scontato: dipenderà dalle scelte di questo partito. Le parole pronunciate ai funerali di Sassoli implicano distanza dai valori e dalla cultura del fascismo? Probabilmente sì, ma – azzardo una previsione – senza che ciò significhi preclusioni verso chi, più o meno direttamente o esplicitamente, si richiama a questa eredità. Il cardinale Zuppi ha mostrato molte volte di essere aperto all’imprevedibile, persino alla trasformazione di ribelli armati, che vivevano nella giungla, in raffinati politici. Che cosa pensa dell’impegno dei cattolici in politica? Non lo sappiamo ma – azzardo nuovamente – è presumibile che sia favorevole a tale impegno, vista la considerazione in cui tiene l’attività politica in quanto tale. Anche in questo caso, però, dipenderà molto da che cosa proporrà chi tale impegno intende assumerselo.
Come in altri campi, insomma, credo che sul terreno politico l’apertura del cardinale Zuppi si accompagnerà al senso di responsabilità che lo spinge a favorire la ricerca di ciascuno verso il meglio di sé e, quindi, ad aiutare il cambiamento di tutti, senza esclusioni. Si tratta di un’apertura che al tempo stesso perdona largamente gli errori passati, ma non fa sconti riguardo alle scelte per il futuro. In questo senso l’eccessiva prudenza delle forze politiche verso il neoeletto presidente della Cei potrebbe rivelarsi un errore. Gli orientamenti e le scelte del cardinale Zuppi, infatti, dipenderanno anche dall’iniziativa altrui, ed è probabile che trarrà maggior vantaggio chi aprirà con lui – presto – un dialogo sincero e costruttivo sui problemi del Paese. Se si svilupperà, tale dialogo rafforzerà i partiti, i sindacati e altri grandi soggetti collettivi, della cui azione l’Italia ha grande bisogno, ma che soffrono tutti di crisi di credibilità, a prescindere dal consenso che raccolgono.