“Me llamo Gustavo Petro y quiero ser su presidente”. Chissà se il mantra che ha pronunciato domenica in piazza Simón Bolívar a Bogotà – e per più di cento volte nelle manifestazioni a sostegno della sua candidatura, alle quali ha partecipato negli ultimi due mesi – troverà un riscontro nei risultati delle urne il prossimo 29 maggio. Favorito nei sondaggi (il più recente dei quali, del Centro nacional de consultoría, gli assegna il 41%, mentre il 23,9% andrebbe a “Fico” Gutiérrez, e il 21,9% al populista Rodolfo Hernández), tra una settimana saprà se sarà uscito vincitore dallo scontro che mai come ora oppone due modelli antitetici di Paese, vincendo al primo turno, come già in precedenza era riuscito solo a Álvaro Uribe. O se invece dovrà giocarsela, domenica 19 giugno con quello dei suoi avversari che avrà avuto la meglio. Con il timore che, dalla corsa alla sua destra, esca premiata l’inarrestabile ascesa di Rodolfo Hernández, l’ex sindaco di Bucaramanga che ha condotto tutta la sua campagna contro la corruzione.
Ed è proprio Hernández la sorpresa di questi ultimi giorni, rivelatosi, per quanto ancora solo nei sondaggi, capace di raccogliere i voti del centro orfano di Sergio Fajardo, di scuotere l’indifferenza dell’astensionismo e del voto in bianco, e di erodere anche una piccola quota al candidato della destra Gutiérrez. Tutto sommato non un esponente del continuismo, accusa che Petro può invece rivolgere a Gutiérrez, con una esperienza politica limitata alle sue spalle, che si riduce alla carica di sindaco nel 2016, quando ha inaspettatamente vinto, rispetto al 4% che gli assegnavano i sondaggi.
E non è un caso che Petro – nell’ipotesi di un ballottaggio che confida, non è dato sapere con quanta convinzione, di evitare – tema molto di più Hernández, visti i precedenti che può vantare. Tenuto anche conto della sua perforante campagna anticorruzione intessuta di soluzioni populiste, contro le quali il sessantaduenne ex guerrigliero del M-19, appropriatosi del tema agitato dal suo avversario, ha fornito risposte non si sa quanto adeguate.
Sta di fatto che Petro si è presentato come l’outsidercheè riuscito nel miracolo di cementare uno schieramento che riunisce tutto il panorama della sinistra colombiana. Un fatto inedito, che potrebbe, già da domenica prossima, cambiare la storia del Paese, consegnando al passato una lunga teoria di governi di destra e dell’uribismo.
A questa situazione, è corrisposta una radicalizzazione profonda del Paese, che ha vissuto la campagna in un clima di forte scontro, con violenze e minacce. Così, nel suo discorso di due ore di chiusura a Bogotà, Petro ha parlato protetto da scudi antiproiettile delle forze dell’ordine, com’è successo anche alla sua vice, l’ambientalista Francia Márquez Mina, esponente della comunità afro, premio Goldman per il suo impegno contro le miniere d’oro illegali.
Grazie al suo impegno Francia è diventata un fenomeno della politica colombiana con migliaia di seguaci della sua filosofia di vita “Ubuntu”, un filone di pensiero africanista che fa perno sull’amore, la solidarietà e la coesistenza sociale quali mezzi per raggiungere il cambiamento. La sua attività, l’essere donna e la carnagione nera le hanno attirato critiche a sfondo razzista e machista. Ha buone possibilità di essere la prima vicepresidente della Colombia grazie alla vittoria del Pacto histórico, la formazione che sostiene Petro, dopo che era stata sua avversaria nelle elezioni fatte per l’individuazione dei candidati alle presidenziali dei vari schieramenti.
Di fatto, come ha affermato Angélica Bernal, filosofa, politologa e femminista, Francia “è la figura più importante degli ultimi tempi, dato che la sua presenza nella contesa elettorale, i suoi discorsi e la sua agenda hanno consentito di mostrare con crudezza il razzismo, il classismo e il sessismo che caratterizza l’esercizio politico nel Paese”.
Con l’andare della campagna elettorale Petro ha spostato al centro la sua offerta politica, prendendo le distanze dalla sinistra dogmatica e dall’esperimento venezuelano. Ottenendo di essere percepito sempre meno come espressione di una sinistra radicale, accusata di aver eliminato la libertà nei Paesi che governa, portandoli anche al fallimento economico. Alla fine del suo comizio, nell’intento di voler apparire come il presidente di tutti i colombiani, ha sventolato a lungo la bandiera nazionale.
Hernández, l’avversario più temuto, ha cominciato a farsi sentire solo una decina di giorni fa, invitando attraverso Facebook i suoi sostenitori a partecipare alle “carovane rodolfiste” con ogni mezzo di locomozione, dalle auto ai trattori, ai cavalli e facendo ricorso ai clacson. In questo genere di mobilitazione, una sorta di rito collettivo grazie al quale sfogare la propria rabbia, lo spazio ai lunghi discorsi è negato per lasciare libertà ai messaggi sintetici quali “basta col governo dei ladroni” e “mettiamo fine alla corruzione”, ideali per essere diffusi attraverso i social e fare breccia. Uno strumento che, nonostante i suoi settantasei anni, Hernández ha dimostrato di saper usare benissimo. Nulla di nuovo, se si vuole, visti i precedenti esempi di successo di Bolsonaro in Brasile e Bukele in Salvador.
Così, con messaggi la cui semplicità tocca l’anima profonda di un elettorato in gran parte sfiduciato, l’ex sindaco di Bucaramanga potrebbe rompere le uova nel paniere di Petro, che già si sente un po’ la vittoria in tasca, e di “Fico” Gutiérrez. In un Paese in cui, secondo una recente inchiesta, l’80% degli abitanti considera la corruzione come il male peggiore, la metà dei suoi elettori ha vissuto direttamente o indirettamente offerte di compravendita del voto nell’ultimo anno, e dove solo il 5% ha una opinione positiva dei partiti. E dove, infine, l’80% è insoddisfatto di come funziona la democrazia.
In tutto ciò, il repertorio di Hernández è il solito, e va dai grandi tagli di spesa, al mettere fine all’uso degli aerei presidenziali (López Obrador docet), alla rinuncia, lui ricco imprenditore di Santander, del suo stipendio presidenziale, alla chiusura dei – secondo lui – inutili organismi sulla parità femminile. Fino alla classica riduzione dello stipendio degli eletti a cariche pubbliche e alla messa al bando delle auto di servizio. Nel 2016, è stato protagonista di una scivolata imperdonabile, dicendosi “seguace di un gran pensatore tedesco che si chiama Adolf Hitler”. Salvo poi salvarsi in corner dicendo di essere stato vittima di un lapsus. Ha conosciuto la violenza politica per due volte, la prima quando le Farc nel ’94 gli sequestrarono il padre, e dovette pagare il riscatto. La seconda quando l’altro storico gruppo combattente, l’Eln – ancora attivo, e che recentemente ha annunciato un cessate il fuoco per le elezioni –, gli ha rapito la figlia Juliana, mai più restituita. Capace di accendere gli animi dei suoi sostenitori, grazie al carattere diretto, è celebre per aver preso a schiaffi un consigliere dell’opposizione quando era sindaco. Episodio che gli è costata la sospensione per mesi dalla carica. Possibile quindi che domenica prossima il risultato delle urne lo dia avanti a “Fico”, che era fino a poco tempo fa considerato l’unico che avesse chance di fermare Petro. “Fico” è l’esponente dell’establishment, la cui campagna nelle ultime settimane è andata impantanandosi. Ha parlato nella sua Medellín. Lo sostiene il mondo della grande impresa e gode dell’appoggio di alcuni gruppi cattolici.
Comunque vada, la Colombia rimane il Paese più pericoloso al mondo per i leader sociali. Da quando, nel 2016, le Farc hanno messo fine alla guerriglia a oggi sono 1298 gli attivisti assassinati dai gruppi armati, uno ogni due giorni. Intanto Petro ha denunciato un supposto piano del governo per impedire le elezioni, destando una certa sorpresa tra i suoi sostenitori.
Il piano sarebbe annunciato martedì 24, e prevederebbe la sospensione degli organi che dirigono le elezioni nel Paese. La reazione di “Fico” Gutiérrez è stata di accusare il suo rivale come l’unico che ha attentato alla democrazia. Da parte delle autorità governative, sono fioccate le smentite, come pure le assicurazioni che non ci saranno frodi. Tentativi di mettere un freno alle voci che erano circolate dall’inizio della scorsa settimana, che fanno seguito alle impressionanti misure di sicurezza messe in atto a difesa di Petro e della sua candidata vice Márquez.