
Si avvicinano in Francia quelle elezioni che potrebbero sottrarre la maggioranza parlamentare a Macron. E mentre questi cerca nel cappello, e la tira fuori, una tecnocrate ex socialista – cioè un’opportunista passata da una lontana collaborazione con l’ex primo ministro Jospin al macronismo più sfacciato –, per affidarle il ruolo di premier in sostituzione di un altro, venuto direttamente dalla destra; mentre accadono queste cose estremamente serie a Parigi, invece a Grenoble – piccola città di provincia ai piedi delle Alpi, famosa per avere dato i natali a Stendhal –, il sindaco ecologista, Eric Piolle, si trastulla con il regolamento interno delle piscine comunali: vi si potrà indossare il fatidico burkini, come pure esibire i seni nudi (chirurgicamente rifatti o no, ciò a discrezione delle interessate, com’è ovvio).
La notizia ha molto di politico, perché la Francia si dilania da anni intorno al velo islamico, al burkini e, più in generale, intorno al significato da attribuire alla parola “laicità” nello spazio pubblico. “Maledetto Piolle” – imprecano alcuni –, “così sottostai al diktat confessionale e patriarcale che impedisce l’emancipazione delle donne musulmane”. E il presidente della Regione, ovviamente di destra (moderata?), ha già minacciato di non dare più un soldo alla municipalità di Grenoble, guidata da un siffatto islamo-gauchiste, che si starebbe arruffianando la comunità islamica in vista della prossima tornata elettorale. “Ma no – ribattono altri –, la libertà concessa anche al topless mostra come il sindaco abbia come unico metro il libero arbitrio delle donne”, le quali potranno bagnarsi in piscina come meglio loro aggrada.
In Italia – Paese scarsamente avvezzo al multiculturalismo, e in cui neppure c’è granché il senso di una République laica: si pensi al condizionamento esercitato su talune scelte legislative dalla Chiesa cattolica –, tutto questo dibattito sembrerà assurdo. Vietati in piscina sarebbero il burkini e il topless, al contempo. E così il nodo sarebbe tranciato d’un colpo.
A pensarci bene, tuttavia, non è affatto peregrina questa volontà di mettere a contatto, sui bordi di una stessa piscina, la ragazza devota, o piuttosto costretta a esserlo da un ambiente familiare oppressivo, e l’altra abituata a sedurre con il proprio corpo, o più semplicemente a nuotare in libertà. In quella comunicazione interculturale, sia pure su un piano soltanto gestuale-visivo, che in tal modo verrebbe a prodursi, la prima ragazza potrebbe apprendere a ribellarsi contro un destino arcaico-tradizionale che la vuole interamente coperta anche per prendere un bagno; e l’altra – la ragazza “liberata” – potrebbe cominciare a riflettere su una emancipazione puramente consumistica ed esteriore, la stessa che magari l’ha spinta, avendone i mezzi, a rifiutare i suoi seni originari per farsene degli altri da esibire con maggiore presumibile orgoglio.
Dunque “viva Piolle!”, è il nostro grido finale. La chiusura all’interno di quello che in Francia chiamano “comunitarismo” – e che sarebbe il contrario dello spirito repubblicano – sarebbe la peggiore soluzione per le donne musulmane, che finirebbero col trovarsi strette tra le loro tradizioni e la rottura con esse, una scelta che o non hanno ancora maturato o non riescono a realizzare per sottomissione e timore delle conseguenze. Il multiculturalismo, del resto, è in se stesso liberante a praticarlo secondo “vasi comunicanti” – nel caso specifico, burkini versus topless e topless versus burkini –, perché in grado di svincolare le menti dal peso delle abitudini.