Non mancherà certo il lavoro al nuovo procuratore antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo. E c’è molta attesa per come lo farà, se riuscirà a ridare linfa a un organismo pensato in un modo (super-procura) e costruito in un altro (solo coordinamento e impulso del lavoro delle singole procure). Magistrato noto per la sua riservatezza e per la serietà – e per la caparbietà: riuscì a togliere alla sonnolenta procura romana una indagine antiterrorismo realizzandola a Napoli con efficacia –, Melillo è stato votato a maggioranza (tredici voti) da un Consiglio superiore della magistratura tramortito da diverse sventure (non ultima una riforma sgradita ai magistrati italiani, che hanno perciò indetto uno sciopero per il prossimo 16 maggio), con i voti decisivi del primo presidente e del procuratore generale della Cassazione, Pietro Curzio e Giovanni Salvi, membri di diritto, oltre a quelli dei cinque togati di Area democratica per la giustizia (il gruppo progressista al quale aderisce Melillo) e di tre laici: Michele Cerabona (eletto in quota Forza Italia), Alberto Maria Benedetti e Filippo Donati (in quota 5 Stelle).
Attuale procuratore di Napoli, ex capo di gabinetto del ministro Andrea Orlando, quando era alla guida di via Arenula, prima ancora distaccato al Quirinale, Giovanni Melillo, 61 anni, ha una lunga esperienza nella Direzione nazionale (nove anni) dove ha svolto un importante lavoro sulle stragi di mafia sotto la guida di Piero Vigna, mettendo in risalto per la prima volta il ruolo della destra, per lungo periodo considerata un corpo estraneo alle cupole. Niente affatto: basti il nome ora noto di Paolo Bellini, proprio quello messo a fuoco a suo tempo dal lavoro di Melillo.
La sua nomina è stata accompagnata dalle note di amarezza di coloro che tenevano alla elezione di Nicola Gratteri, noto procuratore di Catanzaro, che si è assunto il ruolo ingrato di dare la caccia a ’ndrine e cosche massoniche: a Gratteri sono andati sette voti dei componenti togati di Autonomia e indipendenza, degli indipendenti Nino Di Matteo, Sebastiano Ardita e Giuseppe Marra, e dei laici Fulvio Gigliotti (5 Stelle), anche relatore, e Stefano Cavanna, laico della Lega. Un voto di bandiera è inoltre andato al candidato Giovanni Russo, aggiunto al Dna e attuale reggente della procura di via Giulia, quello di Magistratura indipendente e quello del laico Alessio Lanzi (Forza Italia), dunque area di destra.
Non si può parlare di una vittoria di misura per Melillo, anche perché alla vigilia non era escluso il ballottaggio, sebbene siano stati decisivi i voti di Curzio e di Salvi e del gruppo di Unicost, che in Commissione si era astenuto.
L’andamento del voto, e alcune dichiarazioni successive, hanno fatto parlare di una scelta penalizzante per Gratteri: “simbolo dei magistrati che non hanno collegamenti con la politica e fanno carriera senza far parte delle correnti” (Giuseppe Marra) – in realtà era stato candidato da Renzi a ministro della Giustizia e solo il “niet” di Giorgio Napolitano ne impedì la nomina, altrimenti oggi Gratteri potrebbe essere definito un “già ministro della Giustizia”; “un segnale devastante al movimento culturale antimafia” (Sebastiano Ardita); “è stato scelto il magistrato più cauto” (Antonio Ingroia); e infine, giù duro, “agli occhi dei mafiosi risulterebbe come una presa di distanza istituzionale da un magistrato così esposto”, ammonisce Di Matteo.
In realtà, non solo il freddo curriculum, ma l’impegno, la passione e la determinazione di Gratteri gli valgono grande stima e solidarietà: non dimentichiamo che è tra le poche voci anti-massoniche di questo Paese. Ne parlò anche in tv, di fronte a un distratto Fabio Fazio; ma l’intervistatore lasciò cadere l’argomento. Proprio oggi, tra l’altro, è stato reso noto da “Il Fatto” che è scattato un nuovo allarme per la sua vita. Una cosca della ‘ndrangheta, inquisita da Gratteri e operativa in Sudamerica, avrebbe progettato un attentato. Lo hanno appreso da una intercettazione ambienti investigativi di un Paese estero, diverse settimane fa. A Gratteri dunque va il rispetto e la considerazione massima di un servitore dello Stato.
Ma si può immaginare che il voto del Csm sia stato frutto di una scelta orientata anche dalla necessità che un organismo così composito e delicato come la procura nazionale sia guidato da una persona meno propensa a un lavoro di tipo individualistico, che invece è stato un valore aggiunto per la missione svolta da Gratteri in una terra così aspra e infestata come la Calabria.
A cose fatte, resta l’auspicio che Melillo dia davvero impulso alle attività di questa struttura, che costa molti soldi e ne deve valere almeno altrettanti, nella comprensione dei fenomeni mafiosi, sempre più pervasivi e penetranti nel tessuto istituzionale. Una missione importante, non vogliamo pensare impossibile.