Ci sono quei giorni che rimangono nella memoria storica di un Paese per sempre: come il 25 aprile 1945 in Italia, come l’11 settembre 1973 in Cile. Per l’Argentina, il 30 dicembre 2020 è uno di quei giorni. Nelle calles di Buenos Aires le donne con i fazzoletti verdi esultano, c’è chi ride, chi abbraccia la madre o la sorella, chi scoppia in un pianto liberatorio. Perché dopo anni ce l’hanno fatta: es ley! Il 30 dicembre 2020 il Senato argentino, con 131 voti a favore, ha approvato la legge 27.610, che riconosce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza entro le prime quattordici settimane di gestazione.
L’Argentina è il terzo Paese latinoamericano ad approvare una legge del genere, dopo Cuba e l’Uruguay. A fare però da contrappeso a questo neonato progressismo, ci sono numerosi Paesi che criminalizzano l’aborto: tra gli altri, Honduras, Nicaragua e Haiti, dove il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza è illegale in qualsiasi caso, e non ci sono deroghe. Anche nel Salvador la legislazione in materia è fortemente proibitiva: alcune donne sono state condannate fino a quarant’anni di carcere per aver infranto la legge, in molti casi dopo aver subito aborti spontanei. Il presidente Nayib Bukele ha però comunicato l’esclusione di qualsiasi possibile modifica alle normative che regolano l’aborto nella riforma costituzionale che prossimamente riguarderà il Paese.
L’influenza della “marea verde” argentina ha raggiunto gli angoli più diversi dell’America latina, creando una forte ondata di consapevolezza sull’importanza della lotta per i diritti riproduttivi e delle donne, ma anche in quello che risulta poi il loro riconoscimento dal punto di vista istituzionale: per esempio, nel marzo 2022, la Corte costituzionale della Colombia – Paese dove l’aborto era legalizzato solo in caso di rischio per la vita della madre, malformazione nel feto e violenza o abuso – ha emesso una sentenza con cui si depenalizza il ricorso all’interruzione di gravidanza fino alla ventiquattresima settimana di gestazione.
Nel Paese che ha dato origine al movimento dei pañuelos verdi, la legge sull’aborto era già stata presentata e votata alla Camera nel 2018, ma era stata bloccata alla seconda lettura dal Senato. La volta successiva – anche grazie ad alcune modifiche apportate al testo originario, come l’inserimento dell’istituto che permette l’obiezione di coscienza – la legge è stata approvata in via definitiva. Nella norma, entrata in vigore lo scorso gennaio, si sancisce il diritto delle donne, dai 16 anni in su, a ricorrere all’interruzione di gravidanza, che deve essere effettuata gratuitamente dal personale medico entro un breve lasso temporale. Prima di questa legge, in Argentina, l’aborto era regolato da una norma del 1921, che prevedeva eccezioni al divieto solo nel caso in cui la madre fosse stata vittima di stupro oppure fosse in pericolo di vita. L’attuale presidente Fernández, che è stato un grande promotore del disegno di legge, ha dichiarato che, secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 38.000 donne ricorrono agli aborti clandestini, presentando successivamente una serie di complicanze per la salute, e che dal 1983 più di 3.000 donne ne sono morte.
In un Paese che affonda le sue radici nella tradizione cattolica e nel conservatorismo, la strada per giungere al riconoscimento di questo diritto è stata tortuosa: nonostante il sostegno di diversi ex presidenti – da Macri al cambiamento di posizione della Kirchner –, i movimenti femministi hanno lottato a lungo. La Campaña por el derecho al aborto legal, seguro y gratuito viene lanciata ufficialmente nel 2005, e negli anni ha acquisito sempre più legittimità: Educacion sexual para decidir, anticonceptivos para no abortir, aborto legal para no morir (ossia: “educazione sessuale per decidere, anticontraccettivi per non abortire, aborto legale per non morire”) è il loro slogan, stampato in bianco sul pañuelo verde simbolo transnazionale di questa lotta. Le richieste del movimento sono chiare: dopo il riconoscimento del diritto all’aborto, le donne argentine non si fermeranno.
Portare avanti la lotta femminista è infatti necessario per un insieme di motivi: uno di questi, sta nel tentativo di raggiungere le donne che abitano le aree rurali del Paese, in cui è più complesso far arrivare una presa di coscienza, nonché il materiale informativo sui propri diritti, che invece circola liberamente nelle grandi città. Come è stato anticipato, inoltre, al testo originale sono state apportate delle modifiche che non hanno soddisfatto le donne argentine, come l’istituto dell’obiezione di coscienza. La legge prevede, infatti, che il personale medico possa rifiutarsi di effettuare la pratica abortiva, tranne in caso di pericolo di vita della gestante, per motivi legati all’etica o alla religione del medico.
Non sarebbe problematico, dal momento in cui nel Paese sono presenti altri medici non obiettori a cui potersi rivolgere; ma l’obiezione di coscienza – come spiega Soledad Deza, avvocatessa femminista e presidente dell’associazione Mujeres x Mujeres di Tucumán –, che pure nasce per “proteggere la coscienza personale”, nella pratica è stata utilizzata come strategia politica dal conservatorismo religioso per svuotare i contenuti dalle politiche pubbliche che rafforzano i diritti con i quali non si è moralmente d’accordo. “I conservatori, quando perdono nel quadro legislativo e le leggi con le quali non sono moralmente d’accordo vengono finalmente approvate, usano l’obiezione indiscriminatamente. A ciò si aggiunge la collaborazione dello Stato che non vigila sul funzionamento dei servizi. Quindi, l’obiezione di coscienza viene utilizzata per ritirare praticamente dall’offerta sanitaria prestazioni mediche già lecite. Lo hanno fatto con la contraccezione, lo hanno fatto con un’educazione sessuale completa, lo hanno fatto con l’aborto legalizzato, e in Uruguay lo hanno fatto anche con l’interruzione volontaria della gravidanza. In altre parole, prevediamo che faranno lo stesso anche qui” – afferma Deza.
La lotta per il diritto all’aborto ha visto una partecipazione massiccia, che ha coinvolto donne e ragazze di ogni età. Il pañuelo verde è diventato un simbolo, un modo per riconoscersi e per creare reti sociali, ma anche una pratica di lotta che viene portata nelle strade di tutto il mondo. Da questo punto, non si può tornare indietro, ma soltanto avanzare tutte insieme, riempire le piazze e gridare forte che “vogliamo tutto”.