Le parole aspre che Zelensky ha rivolto ai tedeschi subito dopo la diffusione delle immagini dei civili morti a Bucha – “questo è il bel risultato cui hanno condotto quattordici anni di vostre concessioni ai russi” – hanno suscitato molto clamore in Germania. Le parole del presidente ucraino erano evidentemente indirizzate alla gestione Merkel della questione ucraina. Quattordici anni fa, a Bucarest, furono proprio Merkel e l’allora presidente francese Sarkozy a decidere che, per non provocare i russi, la Nato rinunciasse ad allargarsi a Est fino a includere l’Ucraina. A giudizio non solo di Zelensky, ma anche di alcuni quotidiani tedeschi, si sarebbe trattato di una valutazione drammaticamente errata, le cui conseguenze sarebbero divenute oggi evidenti. Merkel ha peraltro risposto seccamente che continua a ritenere che le scelte fatte a Bucarest nel 2008 fossero giuste, rifiutando ulteriori commenti; e i vertici del suo partito, la Cdu, l’hanno difesa, sostenendo che quella politica era perfettamente adeguata ai tempi.
Altro errore che viene imputato al governo Merkel è quello di avere impedito, dopo il 2014 e l’annessione della Crimea, di vendere armi alla Ucraina. Viene tirato in ballo lo stesso progetto del gasdotto Nord Stream 2, fortemente voluto e supportato anche da parte socialdemocratica, che avrebbe avuto come obiettivo geopolitico non solo quello di rafforzare i rapporti tra Germania e Russia, ma – tagliando fuori l’Ucraina dal passaggio del gas – avrebbe implicitamente avallato la politica del Cremlino di ampliamento progressivo dei confini occidentali. Pure il presidente polacco Morawiecki non risparmia le critiche ai tedeschi, che avrebbero permesso per quindici anni alla Russia di rafforzarsi e di accrescere il proprio potere e la sua presenza economica in Europa come fornitrice di energia e di materie prime.
Anche in questo caso, i vertici della Cdu sono intervenuti ribadendo che la strategia merkeliana di intensificazione dei legami con la Russia era mirata ad ammansire il potente vicino, certo, ma soprattutto a renderlo dipendente dalla Germania, implicandolo in un reticolo di relazioni economiche e commerciali; e che in ogni caso gli anni merkeliani sono stati di pace e prosperità, lasciando intendere che forse Merkel, con la sua azione di mediazione, sarebbe riuscita a impedire che il conflitto deflagrasse prima.
Non è sfuggito alle critiche neppure il neocancelliere Scholz, che si sarebbe mosso nel frangente delle fallite trattative prebelliche in sostanziale continuità con la linea Merkel, cercando inizialmente di bloccare le sanzioni, e che esiterebbe ancora sull’invio di armamento pesante. Egualmente nel mirino il presidente Steinmeier, socialdemocratico, il quale, a causa di alcune sue dichiarazioni pacifiste e del suo atteggiamento possibilista al tempo dell’annessione della Crimea (su cui poi ha fatto pubblica autocritica), è stato fatto passare addirittura per “putiniano” nelle estemporanee esternazioni dell’ambasciatore ucraino in Germania, e a cui è stato detto chiaro e tondo che la sua presenza a Kiev non è gradita. Un insieme di rimproveri e di osservazioni spesso motivate, almeno per quanto riguarda il governo ucraino, da intenti propagandistici e da finalità militari, nell’intento di mettere sotto pressione la Germania, facendo leva sugli errori del passato per ottenere la fornitura di armi pesanti, dato che dall’invio di carri armati, su cui Scholz ancora nicchia, dipenderebbe l’esito dello scontro che si prepara sul fronte orientale.
Si tratta, per molti versi, di accuse e di considerazioni facili, dato che giungono con il senno di poi, anche se è evidente che l’attacco russo ha rimesso pesantemente in discussione un intero periodo della storia tedesca. Oggi c’è, da una parte, la bancarotta della politica estera della Germania; dall’altra, la fine di una serie di illusioni, tra cui principalmente quella di potere esercitare un soft power mediante la diplomazia e la pressione economica, secondo il celebre motto del Wandel durch Handel, del trasformare mediante il commercio. Tutto un processo pluridecennale di avvicinamento alla Russia, di tacite intese con Putin, un’ideologia antimilitarista in politica estera, guidata dal principio di non intervenire mai fornendo armi in ambiti di crisi, di limitare le spese militari al minimo, è andato in frantumi nel giro di pochi giorni. Il cambio di mentalità si è dovuto consumare in un attimo: la svolta storica è stata repentina. Ora si accetta di fornire armi a Paesi in conflitto, si ricostruisce in tutta fretta un esercito pressoché evanescente, con cento miliardi di euro di extra-finanziamento, si innalza al 2% il tetto del bilancio per le spese militari. Nell’opinione pubblica del Paese e tra i politici, questa brusca inversione di marcia ha provocato non poco smarrimento. La Germania si trova, in un certo senso, catapultata in un orizzonte imprevisto, e si trova costretta a un rapido cambio di orientamenti cui sostanzialmente non è preparata.
Per qualche commentatore si tratta di un brusco ritorno alla realtà e, al tempo stesso, del definitivo commiato dallo storico senso di colpa che ha a lungo condizionato le scelte del Paese dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. Il politologo Bierling, della Università di Regensburg, parla di un “autoinganno” che viene drammaticamente alla luce, e che obbliga a riconsiderare completamente la politica estera tedesca degli ultimi decenni.
Gli storici, dal canto loro, sottolineano la fine del “secolo russo-tedesco”, cominciato con il trattato di Rapallo nel 1922, in cui – nel bene come nel male – le due potenze emergenti del Ventesimo secolo si sono riconosciute, confrontate, avvicinate, affrontate e distrutte a vicenda, in uno spesso terribile pas à deux. Oggi, di fronte al riemergere delle aspirazioni imperiali della Russia, il ruolo di mediazione e di esempio morale che la Germania, dopo il secondo conflitto, si era faticosamente ritagliato appare di colpo obsoleto e inadeguato; così come tramonta la sua aspirazione a essere potenza di pace e riferimento privilegiato del gigantesco vicino orientale. Sotto le macerie della guerra in corso, parrebbero finire le “relazioni pericolose” tra i due Paesi, schiudendo le porte a un’epoca di grandi incertezze. Ma la crisi verticale delle relazioni bilaterali tra le due grandi potenze riapre anche un’antica e mai risolta questione, che va al di là dei destini della stessa Germania: quella dei rapporti tra la Russia e l’Europa.