Balzato di nuovo all’onore delle cronache durante una conferenza stampa del ministro degli Esteri russo, il battaglione Azov – così chiamato perché il suo nucleo originario ha sede sul Mare di Azov, cioè in quella parte del Mar Nero su cui si affaccia Mariupol’ – è né più né meno che un gruppo armato ucraino neonazista (com’è chiaro anche dalle sue insegne). Il suo momento magico è stato la contesa intorno al Donbass a partire dal 2014 – una questione di confine simile a quella dell’Alto Adige o Sud Tirolo, risolvibile pacificamente, ma che, con grande irresponsabilità della Russia, è stata esasperata fino ad arrivare al punto in cui siamo. Wagner è invece il nome di un’organizzazione di mercenari neonazisti (vedi qui), alle dirette dipendenze di Mosca, che non si sa ancora bene se siano impiegati o no nell’invasione dell’Ucraina, ma che di sicuro in passato sono intervenuti nella zona.
Ora, immaginiamo uno scontro frontale tra loro… Credete che deporrebbero le armi e si abbraccerebbero nella comune celebrazione della memoria di Hitler? Nient’affatto, se le suonerebbero di santa ragione. E questo perché non si tratta di autentici neonazisti, al di là dei richiami storici, ma di nazionalisti estremi, impegnati in una guerra che vede schierati i nazionalismi di ambedue le parti (il che non significa che non ci sia una differenza tra gli aggrediti e gli aggressori, oggi evidente). L’hitlerismo era altra cosa: era il progetto di un dominio completo sull’Europa, tendenzialmente sul mondo, che metteva da parte i vecchi (in quel momento potevano sembrare tali) particolarismi nazionalistici, nella costruzione di un impero governato da tanti Quisling, tra cui lo stesso Mussolini.
Allora, siamo seri: nessun paragone possibile tra una legione straniera che si starebbe formando a favore dell’Ucraina e le brigate internazionali nella guerra di Spagna. Queste ultime erano schierate a fianco di un governo progressista se non rivoluzionario, ed erano formate da comunisti, socialisti, anarchici, cani sciolti democratici e antifascisti: erano internazionalisti radicali e non nazionalisti. Il nazionalismo estremo stava dalla parte di Franco. Quelli che vanno a combattere in Ucraina, ammesso che non siano semplici mercenari, chi sono?
Un raffronto storico andrebbe fatto, semmai, con quella Legione garibaldina che nel 1914, agli ordini di Peppino Garibaldi (il nipote), andò a combattere in Francia contro i tedeschi, anticipando così di un anno l’entrata in guerra dell’Italia. Da chi era composta? Da mazziniani, sindacalisti rivoluzionari, guerrafondai confusionari, come quel Curzio Malaparte che vi aderì giovanissimo (nel corso della sua vita successiva, fu dapprima fascista, poi antifascista, “comunista” filocinese…). Come tutto il cosiddetto interventismo democratico, la Legione può essere definita una masnada di fessi: il che non significa che non pochi tra loro si sarebbero in seguito riscattati, diventando, da varie posizioni, nemici della guerra. Ma tant’è: in quel momento non compresero che essere bellicisti, comunque la si pensasse, significava costruire ponti d’oro ai nazionalisti e ai militaristi, e che riguardo a ciò non c’era nessuna vera differenza tra gli imperi centrali, ossia la Germania e l’Austria, e le democrazie occidentali.
Siamo adesso – attenzione – in una fase che ha delle analogie con il 1914, sul bordo di una nuova catastrofe. È essenziale usare prudenza. L’Unione europea soprattutto, se non gli americani, devono sforzarsi di disinnescare i nazionalismi. Sarebbe stato soffiare sul fuoco accogliere in questo momento l’Ucraina, sia pure simbolicamente, nell’Unione. Ancora peggio se gli Stati limitrofi – come la Polonia, che in fatto di nazionalismo non scherza – fossero in un modo qualsiasi coinvolti nel conflitto. Se le armi vanno date all’Ucraina, non è per farla vincere (cosa significherebbe, poi?), ma per rafforzare la sua resistenza affinché si arrivi a un negoziato. Magari con la mediazione della Cina. Magari con quella della Turchia. Oppure di Israele (anche se sembra più improbabile). Comunque a un negoziato.
Quanto ai legionari che si arruolano, sappiamo bene come, da una parte o dall’altra, i nazionalisti amino menare le mani. È singolare che, già quando si combatteva soltanto nel Donbass, l’estrema destra potesse tifare, o perfino accorrere in armi, a favore dei russi o degli ucraini, indifferentemente. Il capo di Forza nuova, Roberto Fiore, è un filoputiniano sfegatato che ritiene l’uomo forte del Cremlino capace di costruire una pax europea. La nostalgia di Hitler qui è palese. Ma, come si è detto, il Führer c’entra poco: perché nella prima guerra mondiale – a cui la situazione odierna assomiglia – lui si stava appena facendo le ossa.
Sostenere l’Ucraina, in questa situazione, non può significare appoggiarne il nazionalismo interno, ma spingere le sue componenti democratiche a liberarsi da sé dalla morsa in cui sono strette. E chi pensa di andare a combattere in Ucraina o è un fascista o è un fesso.