Quando accadde, lei commentò: “Ci vuole più tempo ad avere una pizza quattro stagioni sotto casa, che un procedimento disciplinare nel Movimento 5 Stelle a Roma”. In effetti, ripescando vecchie dichiarazioni sul web, lei, l’architetta Cristina Grancio, consigliera comunale dei 5 Stelle a Roma, spiegò amaramente: “Sono stata sospesa solo per aver espresso perplessità e chiesto chiarimenti. Due ore dopo la mia presa di posizione, ho ricevuto una mail dal Collegio dei probiviri di sospensione cautelare”. Lei si astenne in commissione, e chiese chiarimenti sulla ipotesi del nuovo stadio della giunta Raggi a Tor di Quinto. Una vicenda molto opaca che, oggi, sembra definitivamente tramontata. Ma allora, nel 2016, sembrava quasi fatta, anche se la tanto conclamata diversità grillina rischiava di precipitare tra i sussurri e i sospetti di conflitti di interessi e di rapporti amicali inconfessabili.
Due anni dopo, nell’aprile del 2018, la consigliera Grancio fu espulsa dal gruppo consiliare per le sue polemiche sui lavori di rifacimento di piazza dei Navigatori, sempre a Roma. E per la cronaca, il commento fu lapidario: “Il movimento deve ancora imparare tutto sulla democrazia”.
In politica, tutto può cambiare velocemente. La tegola della decisione del tribunale di Napoli di sospendere il gruppo dirigente dei 5 Stelle, cioè il presidente Giuseppe Conte, rimette in discussione i fragili equilibri interni e la risposta “giudiziaria” all’inciampo di Napoli. “Presenteremo una istanza di revoca della ordinanza del tribunale di Napoli. Bisogna applicare il vecchio Regolamento del 2018, per evitare la sospensione cautelativa dello Statuto e il conseguente azzeramento dei vertici”. Rischia di allargarsi il buco nero della crisi interna, della implosione, nonostante le battute rassicuranti di Beppe Grillo.
Perché la risposta “giudiziaria”, come sanno bene gli stessi vertici, non risolverà il problema, cioè la decapitazione dei vertici (Giuseppe Conte) del movimento. Il prendere tempo, il non voler affrontare il nodo politico della votazione di tutti gli iscritti, è un’ammissione di impotenza o di incapacità nell’affrontare la crisi politica dei 5 Stelle.
Ieri, su “Repubblica”, l’ex reggente Vito Crimi ha cercato di spiegare come la questione della sospensione del presidente Conte, decisa dal tribunale di Napoli, in realtà non esista. “Conte – sintetizza il titolo della intervista – non sapeva del Regolamento che ci salva. Ho dimenticato di dirglielo”. E si giustifica ricordando la montagna di regolamenti approvati dal M5S.
Se questa è la linea difensiva di Conte e del M5S, l’avvocato Lorenzo Borré, il legale che ha rappresentato i militanti napoletani espulsi o sospesi, non teme un dietrofront giudiziario: “Se le motivazioni dell’istanza di revoca dovessero basarsi sul ritrovamento del regolamento costituito da uno scambio di mail tra il reggente Vito Crimi e Luigi Di Maio, sono molto esigui i margini per vedere riconosciuta la fondatezza giuridica della istanza”.
Il codice di procedura, infatti, prevede che si possa chiedere la revoca dell’ordinanza cautelare solo se si determinano circostanze nuove o si scoprono fatti preesistenti di cui non si era a conoscenza. Sostenere che l’associazione non fosse a conoscenza di un proprio regolamento, che sarebbe stato scoperto solo dopo l’ordinanza cautelare, non è sostenibile. “In ogni caso – precisa l’avvocato Borré – il motivo ritenuto assorbente dal tribunale per la concessione della sospensione cautelare è quello relativo al mancato raggiungimento del quorum degli iscritti per le modifiche statutarie”.
È vero che le carte che si producono nelle aule di tribunale non raccontano la storia reale del Paese. Ma almeno quelle della giustizia civile, pur nel loro linguaggio contorto, si avvicinano molto alla realtà di un’Italia litigiosa, rissosa, che chiede giustizia.
Dunque, Cristina Grancio viene a sapere di essere stata cautelativamente sospesa da una mail che le arriva “il 9 giugno del 2017, alle ore 15,20”, dal Collegio dei probiviri presieduto da quell’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, lo stesso che, durante le votazioni per il presidente della Repubblica, ha incontrato, senza “il mandato dei vertici del movimento”, Matteo Salvini, per discutere della candidatura di Giulio Tremonti al Quirinale.
Impugnato il provvedimento dei probiviri – l’avvocato Lorenzo Borré assiste l’architetta Grancio –, il giorno prima dell’udienza di discussione della istanza di sospensione cautelare, il provvedimento viene revocato. Stando alla stessa memoria dei legali della consigliera sospesa, il M5S non ha mai voluto chiarire, nel corso del giudizio, “quali furono le ragioni della sospensione della “scomoda” consigliera comunale Cristina Grancio”.
Il dispositivo del tribunale interno è molto inquietante: “Considerato che, secondo quanto segnalato, Cristina Grancio avrebbe tenuto un comportamento scorretto nei confronti del gruppo consiliare e non rispettoso della sua linea politica”. Il “centralismo democratico” del Pci, a confronto, era zucchero e miele.
Torniamo ai probiviri che contestano alla Grancio “dichiarazioni pubbliche contrarie alle decisioni assunte dal gruppo a maggioranza, nonché nella presentazione in Consiglio comunale di atti contrari alla posizione della medesima maggioranza”. Un comportamento che presenta “caratteri di particolare gravità” in grado di arrecare “pregiudizio all’immagine e all’azione del M5S”.
Ma come abbiamo anticipato, alla vigilia della discussione in tribunale, i vertici fanno marcia indietro. Il 18 settembre del 2017, il Collegio dei probiviri delibera: “Considerato che, a fronte di successive verifiche, è emerso che il procedimento disciplinare non risulta correttamente instaurato, dispone l’annullamento della sospensione cautelare”. Tre mesi di castigo “ingiusto”. Grancio vuole comunque un risarcimento. Nella memoria depositata dal M5S, riporta la memoria difensiva della consigliera, “non viene data contezza dei gravi motivi che hanno determinato il provvedimento cautelare”. Tutte le accuse, sono “espedienti per giustificare il provvedimento di sospensione”.
Dalla lettura della documentazione depositata al Tribunale civile di Roma viene fuori il nervo scoperto, secondo Grancio, del Regolamento del dicembre del 2014 e delle successive modifiche del 2016 “mai approvate dall’assemblea degli iscritti”: “Precedentemente i poteri disciplinari competevano esclusivamente all’assemblea degli iscritti”. E questo vale anche oggi, all’indomani della decisione del tribunale di Napoli di sospendere le funzioni di presidente di Giuseppe Conte. “Il Regolamento – è la tesi della difesa della consigliera sospesa – è sempre stato utilizzato come strumento per reprimere antidemocraticamente, mediante sanzioni disciplinari, le voci dissonanti di quegli iscritti che chiedevano il rispetto dei principi originari del M5S”.