Una “maggioranza assoluta” non equivale al “potere assoluto”: esordisce così Antonio Costa nella conferenza stampa di mezzanotte festeggiando la vittoria del suo Partito socialista. Il “suo” non perché sia un partito personale, ma perché Costa ha saputo affrancarlo dall’impronta che gli aveva dato il predecessore José Socrates, quella di una socialdemocrazia supina ai dettami neoliberali. Il socialismo portoghese potrà essere criticato, ma è un fatto che ha saputo allontanarsi per tempo da quella “terza via” che ha portato le socialdemocrazie europee al rimorchio della brutalità del neoliberismo. Costa ha dimostrato, negli anni, di saper governare intelligentemente. Ha rilanciato il partito dandogli fisionomia e stabilità; e a voler fare un paragone con le dinamiche italiane, sarebbe comunque più a sinistra di Leu o di Sinistra italiana. Nulla a che vedere con il Partito democratico, pur aderendo alla medesima famiglia europea.
Costa è stato sindaco di Lisbona dal 2007 al 2015, poi ha vinto il congresso diventando segretario generale, con una mozione decisamente spostata a sinistra. Dal 2015 ha guidato il Portogallo con un governo di minoranza. Nel primo mandato definito geringonça (ovvero l’“accrocchio”, il “marchingegno”), poiché – anche qui con una mossa controcorrente – aveva aperto a un’alleanza alla sua sinistra con i partiti della Cdu (Coalizione democratica unitaria) e del Bloco de esquerda (Blocco di sinistra). La geringonça prevedeva un accordo di “appoggio esterno” da parte delle due formazioni più radicali; e tutti e tre i partiti fecero propria la denominazione, a dispetto del suo significato inizialmente spregiativo.
La Cdu è una coalizione tra il Partito comunista portoghese e i verdi, che dura dagli anni Ottanta. A un lettore italiano potrà apparire affascinante un’alleanza del genere, ma bisogna segnalare che i rapporti di forza sono sbilanciati verso il Pcp. Un partito, questo, che se da un lato fu decisivo per la resistenza al regime di Salazar, dall’altro non ha saputo rinnovarsi. Il Partito comunista propone una prassi interna spesso conservatrice e anacronistica. Mantiene ancora alcuni rituali e alcune rigidezze ideologiche che non gli permettono di essere un’organizzazione politica anticapitalistica nel “mondo grande e terribile” del nostro secolo. Certo – a differenza dei molti piccoli partiti comunisti italiani – governa municipi locali, soprattutto nelle zone rurali del Sud, per esempio in quell’Alentejo che il pubblico italiano conosce attraverso la narrativa di José Saramago.
Il Bloco, invece, è un raggruppamento che dal 1999 unisce tutte le sinistre eterodosse formatesi alla sinistra del Partito comunista. Banalmente definito come il partito dei “trozkisti del nuovo millennio”, è in realtà un partito “urbano”, che attrae molti giovani e ha la sua forza nella permeabilità alle istanze dei movimenti sociali. Un’arma a doppio taglio, perché a volte rischia di essere ostaggio di istanze identitarie, o di rappresentare una sinistra poco radicata nei luoghi di lavoro, intercettando un voto d’opinione, certamente importante, ma tutto sommato di élite. La deprimente mancanza di unità a sinistra, in Italia, potrebbe certamente farci apparire il Bloco come un esempio virtuoso di coalizione tra organizzazioni della sinistra radicale; siamo tuttavia lontani dal successo che questa formula riuscì ad avere durante lo shock economico imposto dalla “troika” dopo la crisi del 2009.
Torniamo però alle elezioni. Costa è il grande vincitore in quanto è riuscito a sbaragliare tutti, sia la frammentata galassia della destra sia i due raggruppamenti alla sua sinistra, i quali avevano aperto la crisi che ha condotto a queste elezioni anticipate. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso della geringonça era stato il rifiuto, da parte degli alleati, di votare la legge di Bilancio nel dicembre scorso.
Costa vince perché l’elettorato portoghese ha mostrato di apprezzare le sue scelte durante la pandemia, e perché ha saputo configurare la sua azione politica come un giusto compromesso tra quelle che Max Weber definiva l’“etica della responsabilità” e l’“etica della convinzione”. Al contrario, Cdu e Bloco sono rimasti prigionieri delle loro nobili battaglie, fatte di convinzioni più che condivisibili, ma senza sapersi misurare con il “principio di realtà”. Rispetto a due anni fa, il Bloco perde quattordici deputati (gliene rimangono solo cinque) e la Cdu si dimezza, passando da dodici a sei. Di questo insuccesso la coordinatrice del Bloco, Catarina Martins, sembra essere però più cosciente del vecchio segretario del Partito comunista, Jeronimo de Sousa. Il Bloco riconosce la sconfitta, il Pcp, nei commenti, rimane invece ancorato a una retorica di resistenza. Il Partito socialista ottiene invece 117 deputati sui 230 totali, superando il 41% dei consensi. Questa maggioranza assoluta getta così un’ombra negativa sulle due formazioni di sinistra che, non votando il Bilancio, hanno aperto alle elezioni anticipate condannandosi all’irrilevanza.
Costa è inoltre il grande vincitore perché – contro tutti i sondaggi – ha fermato la crescita dei consensi a destra. Il Partito socialista stacca di circa tredici punti il partito di centrodestra, costringendo alle dimissioni il candidato rivale, Rui Rio, ex sindaco di Porto. Durante la campagna elettorale è stato onnipresente il racconto mediatico riguardo a un pareggio tra i due più grandi partiti; il risultato è stato però completamente ribaltato rispetto alle previsioni.
Infine, una riflessione sull’aumento dei consensi dell’estrema destra populista: il partito Chega (cioè “Basta”) di André Ventura, il quale, durante la campagna elettorale per le ultime elezioni regionali italiane, venne a Firenze e salì sul palco della candidata leghista toscana, Susanna Ceccardi. Salvini ha poi ricambiato il viaggio, raggiungendo il santuario della madonna di Fatima. Chega accresce i propri consensi: aveva in parlamento solo il suo portavoce, adesso, con il 7%, ottiene dodici deputati. L’ascesa di Ventura rientra comunque in un quadro in cui l’elettorato di destra si estremizza alla ricerca di un rinnovamento: Chega può crescere perché altri gruppi, a destra del partito moderato, scompaiono.
Chega è l’unico partito con il quale Costa ha dichiarato che non potrà esserci dialogo. Nella conferenza stampa di mezzanotte ha detto che vuole una maggioranza assoluta di interlocuzione con la società civile e con tutti gli altri partiti “a eccezione di quella forza politica”. Costa si è riferito a Chega senza neppure nominarla, marcando così un’importante pregiudiziale antifascista.
Il Portogallo è piccolo, gli stessi portoghesi hanno piena coscienza di ciò. Ma la politica di Costa sta dando a questo Paese una sua funzione nella storia europea contemporanea: quella di un contributo fruttuoso al rinnovamento delle socialdemocrazie.