“C’è vita a sinistra del Pd?”: era questo l’interrogativo al centro dell’incontro online promosso dall’associazione fiorentina “Diritti a sinistra” e dalla sezione toscana del Centro per la riforma dello Stato (Crs). Una discussione a cui hanno partecipato due esponenti politici nazionali, Arturo Scotto (Articolo uno) ed Elisabetta Piccolotti (Sinistra italiana), uno studioso, Loris Caruso, che da tempo si occupa della sinistra “radicale” europea, e la presidente del Crs, Maria Luisa Boccia (il video integrale dell’incontro su questo sito).
Si può dire che, alla fine dell’incontro, la risposta sia stata: “Sì, certo, c’è vita a sinistra del Pd, ma non sembra che ci siano idee abbastanza chiare e innovative…”. Forse si può partire da un luogo comune ben noto che si riassume nell’immagine della “prateria”: quella che sarebbe lasciata libera e incontrollata dalle scelte centriste e moderate del Pd, e che dovrebbe o potrebbe essere “colonizzata” da un nuovo partito della sinistra. È una storia lunga: la prateria è sempre lì, ma in realtà mai nessuno è riuscito veramente a occuparla.
Nell’incontro si è espressa la stanchezza, l’insofferenza persino, verso un modo ormai stantio di pensare a un soggetto politico “a sinistra” del Pd. Soprattutto, è apparso chiaro come sarebbe destinato all’ennesimo fallimento il tentativo di mettere su, alla vigilia delle elezioni, un improvvisato cartello elettorale. E se tutti vorrebbero provare a fare qualcosa di nuovo, le possibili strategie poi divergono. Ma, prima ancora di questo piano di discussione, è emersa con molta nettezza una possibile opzione, richiamata con forza da Maria Luisa Boccia, ricordando uno storico dissenso che accompagnò la scelta del gruppo del Manifesto di presentarsi alle elezioni del 1972, e che vide su fronti opposti Luigi Pintor e Rossana Rossanda. Pintor era favorevole a presentare una lista autonoma (“contarsi per contare”, disse), Rossanda era contraria, giudicando finanche “pericolosa” questa idea. Aveva ragione Rossanda; ma non si può dire che la lezione di allora sia servita: una sorta di sindrome elettoralistica sembra colpire molte forze della sinistra “radicale”, specialmente le più piccole e quelle dal profilo identitario più marcato. La logica è evidente: per esistere politicamente bisogna essere almeno “visibili”, e per esserlo bisogna avere un proprio simbolo sulle schede elettorali (anche se poi si ottengono percentuali di voto irrisorie). Si possono esaltare il movimento, le lotte, l’autogoverno sociale, ecc., ma alla fin fine, per questi soggetti o micro-soggetti, per una sorta di deriva narcisista, ciò che risulta essenziale è il fatto di esserci, alle elezioni e sulle schede.
Ebbene, in questa situazione, può avere un senso politico “saltare” un turno: se non ci sono le condizioni politiche, perché mai tentare un’avventura elettorale che si preannuncia fallimentare? Perché frammentare l’offerta elettorale a sinistra, ben sapendo che poi gli elettori, anche quelli di sinistra e più antagonisti, non sembrano più molto propensi a un voto di mera testimonianza? Le analisi dei dati elettorali, in molte città, mostrano, per esempio, come alla fine sia proprio il Pd ad avvantaggiarsi della sovrabbondanza di liste più o meno auto-proclamantisi come la “vera” sinistra: nel dubbio, meglio votare per il partito più consistente, anziché rischiare di sprecare il proprio voto. In fondo, non si vota più per esprimere una propria identità, per vedersi “rispecchiati” in un simbolo: si vota per ottenere qualcosa e anche – perché no, vi sembra poco? – per evitare il peggio.
Comunque, è prevedibile che una qualche offerta elettorale “a sinistra del Pd” sarà presente alle prossime elezioni politiche: come si configurano gli scenari politici? Dalla discussione è emersa una prima opzione, che sembra prevalente in Articolo uno, la formazione politica di Bersani e Speranza: quella di riconfluire nel Pd, intanto partecipando, in questa fase, alle cosiddette “agorà democratiche” che il Pd e Letta hanno promosso. Questa posizione, che assume come ormai fallito e non riproponibile il progetto di dar vita a un vero e proprio partito autonomo, ha un serio problema: il Pd stesso sembra fare di tutto per scoraggiare il “ritorno a casa” di tantissimi ex-militanti ed elettori. Basti solo pensare all’incredibile afasia di fronte al recente sciopero promosso dalla Cgil e dalla Uil.
Una seconda opzione è quella che sembra maturare all’interno di Sinistra italiana e di altre piccole forze: promuovere una qualche aggregazione elettorale (o magari, per dare un po’ di continuità anche ai simboli, presentarsi come “Sinistra italiana”) che raggruppi un po’ di sinistra dispersa, ma che stavolta – ecco la possibile, relativa novità – faccia comunque parte di una coalizione ampia (“campo largo”, ecco l’altra espressione gergale che ora va per la maggiore) che sia imperniata sul Pd e sui 5 Stelle.
La terza opzione prevede invece una corsa solitaria, e di rottura, senza alcuna alleanza “contaminante” con il Pd: sarà questa probabilmente la scelta di altri soggetti, come Potere al Popolo o Rifondazione Comunista, o anche (che tristezza!) di quelle formazioni che cercano di lucrare sulla rendita elettorale del vecchio simbolo del Pci.
Sullo sfondo, la variabile costituita dalla legge elettorale. Dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica è probabile che se ne torni a parlare. Non c’è bisogno di dire, qui, quanto sarebbe vitale, per la democrazia e per la ricostruzione di partiti degni di questo nome, il ritorno a un sistema proporzionale. Non accadrà. Salvini e Meloni hanno tutto l’interesse a restare con il sistema attuale, che obbliga a costruire coalizioni pre-elettorali: un modo per tenere legata a destra Forza Italia, nonostante qualche nostalgia centrista venga coltivata dentro la formazione berlusconiana. Si tratta di un sistema, quello attuale del vincolo di coalizione preventivo, che conviene anche alla piccola galassia centrista di Renzi, Calenda e compagnia bella. Con un proporzionale alla tedesca, invece, con soglia al 5%, tutti questi soggetti sarebbero costretti a unirsi e a rischiare. Con l’attuale sistema, invece, anche i partiti del 2% possono contrattare il loro piccolo posto al sole. E a sinistra, per cercare di essere quanto meno competitivi con la destra, oltre all’alleanza Pd-5 Stelle, sarà utile una qualche lista di sinistra, che non disperda i voti.
Vedremo. Quello che è certo è che ancora manca una vera riflessione sulle ragioni che hanno, da un lato, ridotto ai minimi termini la componente di sinistra all’interno dello stesso Pd, e dall’altro lato condannato ripetutamente a un livello modesto di consenso le forze di sinistra fuori dal Pd, dai tempi della lista “Sinistra Arcobaleno” sino a quelli di “Liberi e Uguali”. Non è ovunque così: in Germania Die Linke, sebbene fortemente ridimensionata nelle recenti elezioni, rimane una forza importante, specie in alcuni governi locali e regionali, a cominciare da Berlino; in Spagna Podemos è forza di governo, ne esprime la vicepresidenza, e conserva una forza rilevante; in Grecia Syriza e Tsipras hanno perso le elezioni, ma con oltre il 30% dei voti; e altrove, come in Belgio, si affacciano alla ribalta nuove forze che sembrano in grado di insidiare la tradizionale egemonia a sinistra dei partiti socialisti e socialdemocratici. Insomma, nonostante tutto, “c’è vita a sinistra”: ma in Italia?