
In Svezia il voto alle donne è in vigore dal 1862, primo Paese al mondo a legalizzarlo iniziando dalle elezioni comunali (in Italia entrò in vigore solo nel 1946, in occasione del referendum repubblica/monarchia). Mai però una donna era stata eletta premier fino a mercoledì scorso, quando la scelta di primo ministro è caduta sulla leader socialdemocratica, Magdalena Andersson. L’incarico è durato tuttavia otto ore. Si è trattato di un record. I verdi hanno infatti ritirato l’appoggio al governo non condividendo la legge di bilancio annuale, criticata da destra dal Partito di centro, e da sinistra dagli ecologisti, oltre che dal Partito della sinistra (Stoccolma è governata negli ultimi anni da esecutivi di unità nazionale). Sono lontani i tempi – quelli di Olof Palme e Willy Brandt – in cui in Scandinavia e in Germania governavano saldi monocolori socialdemocratici. La crisi economica e politica post-1989 ha morso anche qui.
A proposito di Berlino, proprio ieri, è andata meglio per gli equilibri di governo. È stato infatti dato il via libera al governo “semaforo” tra socialdemocratici, verdi e liberali, dopo l’accordo sul dicastero delle Finanze che va a questi ultimi. Cancelliere verrà eletto, perciò, il socialdemocratico Olaf Scholz. Il caso tedesco conferma, come in Svezia, la fine dei governi monocolori, o moderati o socialdemocratici (l’unità nazionale tra Spd e Cdu ha contrassegnato le ultime legislature in Germania).
Torniamo alla Svezia. Andersson, 54 anni, economista, ex ministro delle Finanze, segretaria dei socialdemocratici da appena poche settimane, si è detta subito disponibile a ritentare la formazione di un governo, perché l’unica alternativa sarebbero le elezioni anticipate, che i vari protagonisti della scena politica svedese non gradirebbero. La soluzione potrebbe essere un governo socialista monocolore appoggiato dall’esterno dagli altri partiti (meno quelli di destra).
La mediazione sarà cercata sulla politica economica e su quella migratoria (in Svezia, secondo le inchieste, l’opinione pubblica chiede – come in Danimarca – più controllo dei flussi migratori che sono tra i più alti in Europa e creano malessere sociale pure a sinistra). La Costituzione svedese aiuta il tentativo di Andersson: le norme prevedono che primo ministro ed esecutivo possano essere nominati e restare in carica fino a quando almeno 175 deputati su 348 non neghino loro la fiducia. Ora si tratta sul programma di un budget di bilancio che dovrà mediare tra il concedere meno risorse alle famiglie o all’ambiente, e di più alla riduzione delle tasse, all’aumento dei salari per le forze di polizia e al rafforzamento del sistema giudiziario. Andersson potrebbe ottenere il voto favorevole dei verdi e del Partito della sinistra, con l’astensione delle forze del centro moderato che tuttavia chiedono più di una concessione.
Dopo sette anni alla guida del governo, l’ex premier socialdemocratico Stefan Löfven era stato sfiduciato nei giorni scorsi da un voto del parlamento. La causa? Una mozione presentata dalla destra nazionalista sulla politica economica e a favore della liberalizzazione della politica degli affitti. Quello capeggiato da Löfven era un governo formatosi nel 2019, dopo ben quattro mesi di negoziati. L’esecutivo bocciato era sotto tiro da tempo per come aveva affrontato la pandemia (pochi provvedimenti restrittivi, campagna eccessivamente soft di vaccinazione e di controllo: in Svezia ci sono stati più morti e contagi rispetto al resto della Scandinavia).
Nei prossimi giorni Magdalena Andersson tenterà dunque di risolvere il rebus della governabilità a Stoccolma, provando a tornare in possesso del record di prima donna eletta premier in Svezia, conquistato mercoledì scorso per sole otto ore.