Ma davvero si voterà in Libia, il 24 dicembre prossimo, per eleggere il presidente, così come lasciano intendere i leader europei e la stessa rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu, Sthephanie Williams, al termine del Forum del dialogo libico, riunito a Tunisi? O prevarrà il buonsenso e – di fronte a uno scenario di guerra civile, di scontri armati tra le milizie dei diversi candidati che non riterranno legittime le elezioni, che denunceranno brogli elettorali – si sposterà la data delle elezioni per consentire un governo di grande coalizione che dovrà ridisegnare l’architettura istituzionale e i tempi del confronto elettorale?
Le lancette del tempo scorrono velocemente e il carniere dei candidati presidenti della Libia si appesantisce. Sono già una ventina, diventeranno il doppio alla scadenza di oggi, lunedì 22 novembre. Da oggi al 14 dicembre, giorno in cui dovrebbe iniziare la brevissima campagna elettorale (solo dieci giorni), l’Alta commissione per le elezioni nazionali passerà al setaccio le candidature. E assisteremo a una selezione che si annuncia drammatica.
Per esempio, il candidato alle presidenziali Saif al-Islam, figlio del colonnello Gheddafi, è ricercato dalla giustizia libica e dalla Corte penale internazionale, per crimini di guerra e genocidio. Sarà “amnistiato” preventivamente, consentendo così la sua partecipazione alla campagna elettorale? I giudici libici lo hanno già “amnistiato” in passato. Ma nel momento in cui gli è stato concesso di presentare la propria candidatura nella capitale del Fezzan, Sebha, le autorità di Tripoli hanno sospeso il questore di Sebha che avrebbe dovuto arrestare il figlio di Gheddafi. E i giudici dell’Aja come si comporteranno? E la stessa Alta commissione per le elezioni consentirà che Saif al-Islam partecipi alla campagna elettorale?
E il generale Haftar, il potente governatore della Cirenaica, cosa farà se dovesse passare il primo turno elettorale? Consentirà che si voti per le parlamentari? Gli analisti sostengono, infatti, che Haftar ha buone possibilità di affermarsi, dal momento che in Tripolitania e nel Fezzan sono decine i candidati che cercheranno di conquistare voti, mentre in Cirenaica si punta solo sul “governatore” Haftar.
Sulla carta, i tre milioni di libici che sono iscritti nell’anagrafe elettorale voteranno per le presidenziali il 24 dicembre. Ma poi, dopo 53 giorni, tra il 17 e il 18 febbraio del 2022, toccherà al secondo turno delle elezioni presidenziali e alle elezioni per il nuovo parlamento. Sembra il libro dei sogni. Una favola, anzi. Come se dieci anni di guerra fratricida, di milizie mandate allo sbaraglio, di pozzi petroliferi avvelenati dall’odio e dalla sete del potere – e soprattutto come se decine di migliaia di “ostaggi”, i poveri migranti alla mercé dei trafficanti – non esistessero; come se all’improvviso la “Svizzera” che fu del Nord Africa potesse risolvere, con un tocco di bacchetta magica, i suoi problemi, l’assenza di una struttura istituzionale democratica, la fondazione di un esercito nazionale e di corpi di polizia.
C’è una inchiesta indipendente delle Nazioni Unite che agli inizi di ottobre, dopo un lavoro di un anno, è arrivata alle conclusioni che, nelle carceri e nei centri di detenzione di immigrati, si sono consumati non solo abusi ma probabili crimini di guerra. L’analista Jalel Harchaoui, intervistato dall’“HuffPost”, è convinto che “la comunità internazionale ha fornito alla Libia la ricetta per una crisi sicura. Se si voterà il 24 dicembre, i candidati contesteranno il voto”.
Il 12 novembre scorso, a Parigi, si è tenuta una conferenza internazionale sulla Libia. Protagonisti il nostro presidente del Consiglio Mario Draghi, il presidente francese Macron e la cancelliera tedesca Merkel. L’appello dei leader europei è che si svolgano, il 24 dicembre, “elezioni libere e credibili”.
È stata un fallimento la conferenza di Parigi. Draghi ha auspicato che si svolgano contemporaneamente le elezioni parlamentari e quelle presidenziali. Una posizione di buon senso proprio perché aiuterebbe a ritrovare una identità di intenti comuni tra i diversi candidati. Se si votasse lo stesso giorno per le presidenziali e le parlamentari, il percorso democratico sarebbe garantito meglio. Si tornerebbe a votare solo per il ballottaggio delle presidenziali.